Caro dottore, sono un giovane professionista: laureato, ben realizzato nel lavoro, che vive ancor in famiglia. Legatissimo a mia madre, da bambino sono sempre stato etichettato come un alunno che poteva fare di più, se solo non fosse stato così chiuso e timido. La timidezza è l’impedimento costante, per raggiungere risultati migliori nel lavoro, dove spesso rinuncio ad espormi pienamente, per realizzare una vita sociale intensa, che evito nella mia estrema riservatezza, per vivere senza paura di espormi, anche nel rapporto con l’altro sesso, di cui temo l’approccio e soprattutto il rifiuto. Non ho mai avuto una relazione che potesse comprendere anche una vita intima, e più passa il tempo, più mi sento in difficoltà. Ma come fanno quegli attori che dicono di aver superato la timidezza grazie alla loro professione? A volte io non mi sento nemmeno di superare la soglia di casa.
Donato (Casoria)
Quando si parla di timidezza, da non confondere con altri disturbi di personalità che fanno dell’evitamento l’unica modalità di vita, la nostra mente come per automatismo si dirige verso personaggi famosi, alla ricerca di un conforto che sembra arrivare da chi, pur essendo personaggio pubblico, si trova a vivere o ha vissuto questa che sembra una debolezza. I vari Woody Allen, Margherita Buy, Brad Pitt, hanno fatto diventare la timidezza il loro punto di forza, attraverso un processo di trasformazione che ha portato alla consapevolezza delle proprie parti deboli, considerandole e accettandole come parti di sé; questi personaggi, come molte persone che hanno superato la timidezza, sanno che essa non è da non nascondere, che da essa non è necessario difendersi, come non bisogna sottrarsi allo sguardo degli altri, arrivando a mettere in gioco se stessi anche attraverso l’ironia. La timidezza spesso si fa accompagnare dalla solitudine, che diventa un modo per evitare l’approccio ad ogni nuova relazione, inventando scuse, anche banali, solo per non essere presenti. Infatti, è nella trasparenza che il timido vorrebbe vivere, lontano da ogni forma minima di contatto oculare che può diventare anche giudicante, tale da creare disagio e imbarazzo. Andando oltre il cliché delle apparenze, dove si celano tante insicurezze, ci si dovrebbe rendere conto che la vita, nella sua globalità, è fatta anche di altro. Il privilegio di certe dimensioni esistenziali, tra queste la timidezza, è anche quello di sperimentare sentimenti quali la tristezza, la malinconia, il dubbio, senza rendersi conto che queste sono sapienze che caratterizzano l’agire dell’essere umano, ma da cui si fugge, perché non è facile prendere contatto con queste parti di sé. Esse rappresentano quelle parti con cui hanno stretto amicizia i timidi famosi, che hanno dato inizio al loro cambiamento, quando si sono resi conto che ogni forma di conoscenza, prima di arrivare a quella degli altri, è quella che parte da se stessi.
Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta
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