Pei, Pep, Pai, Pia, Dad, Did, Didup, Pof, Ptof, e chi più ne ha più ne metta. E’ questa la scuola? Sembra di si, ma ridotta a puro dispositivo burocratico, quello che non ci saremmo mai auspicato. Sarò di vecchio stampo, ma nella mia mente persiste l’immagine del prof che entrava in classe al suono della campanella con il registro azzurro e che al primo sguardo rivolto ai ragazzi si rendeva conto dello stato umorale che avrebbe caratterizzato la giornata di quel gruppo. Uno sguardo che poggiava sulle emozioni degli alunni, sul loro umore, sui loro dissapori, che spesso si verificano come in ogni gruppo sociale che sigla la vita in ogni angolo di mondo. Ruolo fondamentale quello della scuola, non per la acquisizione di meri apprendimenti, che si possono ricevere in tanti altri spazi, ma per la formazione dell’individuo nella sua interezza, formazione che passa attraverso la propria messa in discussione e il confronto con l’altro, nella sua differenza e diversità. Non esiste la didattica a distanza, non può esserci didattica là dove non esiste relazione, là dove non c’è un corpo ad accompagnarti, dove nn c’è uno sguardo ad appoggiarsi sulla persona come forma di riconoscimento della propria presenza, che diventa esistente in mezzo agli altri. Si è perso di vista la scuola, la sua importanza, concentrandosi troppo su altro, sulla sua dimensione funzionale, aziendale. In tanti parlano di scuola, dai manager…ai politici, ma in tutto questo parlare (vuoto) diventa assordante il silenzio, la mancanza di parola dell’insegnante: unica figura rimasta a fare da filtro con il mondo dei ragazzi, degli adolescenti, spesso giudicati in maniera frettolosa e superficiale. Ho avuto modo di parlare con tanti ragazzi negli ultimi tempi, confronto che mi arricchisce sempre e che porta sempre tanto di nuovo nel mio bagaglio di esperienze. Dal più piccolo al più grande sentono tutti la mancanza della scuola nella sua vera forma. E la quasi totalità di loro vede nella chiusura degli istituti scolastici la negazione di un proprio diritto. Un diritto che viene rivendicato dagli stessi, ma che dovrebbe essere il diritto di tutti: quello della parola. Una parola che deve passare attraverso la bocca di tutti, adulti compresi, nel ricordare che la scuola è luogo di parola, che viene fuori attraverso l’incontro con l’altro, oltre che luogo di possibilità,che a nessuno di noi può essere negata, nella propria specificità.
Complicamente. Covid, ma la scuola dov’è?
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Gentile dottore, sono la madre di 2 figli adolescenti che, l’uno in prima media e l’altro in terza, seguono la didattica a distanza ogni giorno. Di 15 giorni in 15 giorni abbiamo sperato per 3 volte che la scuola riaprisse, consapevoli del fatto che se ciò fosse avvenuto era il segno della diminuzione del numero di contagi. Questo non è accaduto. E dunque ci accontentiamo di una didattica a distanza ben organizzata , efficiente, ma che appare sempre più un tempo astratto, etereo, privo di consistenza. Eppure i nostri figli si impegnano,e provano a seguire i programmi, le attività proposte, i contenuti spiegati. Forse fanno anche dei progressi, e l’impegno molto costante degli insegnanti è sicuramente importante per loro. Ma io vedo i miei figli cambiati e ho paura. Sono silenziosi, parlano da soli e sono distratti. Raramente riesco a coinvolgerli nella vita di casa, in piccoli impegni domestici, in un dialogo. A volte penso che gli insegnanti, prima di occuparsi dei compiti, dovrebbero dedicare 1 ora ogni giorno al saluto, chiedere ai ragazzi come stai? cosa hai mangiato ieri? cosa hai sognato? Stringiamo questi ragazzi in un cerchio di attenzione e di cura affinchè non si chiudano sempre di più in un mondo fantastico, diverso da quello che il destino ha loro riservato in questi tempi difficili.
Ornella da Marano
Risposta
Dott.Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta
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