Gentile dottore, ormai siamo tutti liberi, fuori dal lockdown. Tutti tranne i giovani studenti che devono affrontare l’esame di maturità. Io sono uno di questi. Abbiamo patito una quarantena insieme a genitori ansiosi, psicotici, costantemente sull’orlo di una crisi nervosa; abbiamo subìto videolezioni esilaranti, pressanti, incoerenti, a volte in pigiama…a volte in mutande…scoprendo con tenereza i meandri dell’intimità casalinga dei nostri professori. Abbiamo studiato, fatto finta di studiare chiusi in camera, per non vedere nessuno, in una quarantena dentro la quarantena. Abbiamo seguito un ministro dell’Istruzione dalle mille indecisioni, che ha aggiunto precarietà alla nostra precaria condizione umana di esiliati da noi stessi. Io mi sento un sopravvissuti e non mi interessa più niente. Nemmeno questo ridicolo dannato esame. Stanco di una stanchezza che non ho mai conosciuto, vorrei non uscire più. Ed essere finalmente lasciato in pace.
Antonio da Giugliano
Risposta dello psicologo
“Il grido è un’urgenza che appare dal silenzio del corpo, un’ urgenza che si ode, anche se appare priva di senso” (S. Freud). Attraverso il grido, usato in questo caso come metafora, l’adolescente rivendica il proprio diritto alla vita, tramite l’ascolto, il proprio riconoscimento, la propria libertà, senza essere giudicato sulla base di un pre-giudizio. A quali richieste devono ancora rispondere i giovani per poter essere “inquadrati” nella maniera giusta? Specularmente ai propri comportamenti essi non si ritengono soddisfatti dell’agire che arriva dai grandi: di esempi positivi non vi è traccia, e in effetti è molto più inquietante vedere adulti affetti da giovanilismo, che adolescenti vivere la dimensione del proprio tempo. Perchè parlare di movida giovanile enfatizzando solo il pericolo, se poi nella massa ritroviamo “vitelloni” che si muovono con una gestualitò surreale? La fine del lockdown sta evidenziando che molti ragazzi hanno scelto di non uscire di casa, o di farlo con discrezione. Se la cosa nasce come risultato di un lavoro introspettivo, non può che essere positiva, perchè ci troviamo di fronte a un cambiamento personale, che porta oltre i comportamenti massificati. Non possiamo pensare ai nostri giovani come ad esseri con teste da riempire, alla stregua di recipienti da travasare. In questo assume un ruolo importante la scuola, quando viene considerata nella sua funzione educativa, che va oltre l’aspetto nozionstico, tornato purtroppo alla ribalta in questo periodo di emergenza. “La scuola è gioco di vita” (S. Freud), ma per saper giocare bisogna conoscere le regole, altrimenti si è fuori dal gioco stesso. Ai giovani non vanno ristretti gli spazi, è di questo che hanno bisogno, oltre che di tempo, per far evolvere la loro forza e la loro bellezza. Il nostro paese non ha bisogno di elemosinare aiuti economici in giro per il mondo, soprattutto perchè la ricchezza non è generata solo dai soldi. In un’ottica nostalgica si è sentito parlare di nuovo di Piano Marshall e in un’ottica di sviluppo, se proprio si dovesse ricorre a tali strumenti, lo si faccia pensando alle nostre future generazioni, investendo in cultura più che in strutture di breve durata. Recuperiamo le nostre giovani menti sparse per il mondo, a fare la fortuna di paesi che hanno creduto in loro. E’ possibile? Forse sì. Si dovrebbe cominciare a ricercare la nostra dimensione adolescenziale rimossa, per poterci riconoscere in quelle sofferenze e in quelle angosce che i nostri ragazzi vivono quando provano a farsi guardare con gli occhi della comprensione, anche se rimproverandoci, ci dicono che non abbiamo saputo preparare il loro futuro.
Dott. Raffaele Virgilio – psicologo e psicoterapeuta – virgilioraffaele@gmail.com
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