Egregio dottore le scrivo perchè la mia condizione attuale, alla luce delle problematiche legate al Covid-19, è al limite. Durante l’isolamento ho sofferto profondamente la solitudine e il forzato ritiro in casa, accompagnato naturalmente dalla paura del contagio, per me e per mia madre novantenne. Ho rinunciato ad ogni aiuto in casa e ho lavorato da commercialista al pc, occupandomi poi di tutto nelle ore libere, e facendomi portare sempre la spesa a casa. Il confinamento è stato per me assoluto. Passando il tempo poi, l’ ho sentito sempre più come condizione protettiva, quasi un ritiro “dorato”. E infatti quando è stato possibile uscire, io sono rimasta restia, riluttante, quasi come se fosse impossibile lasciare la mia tana. Ho continuato il mio privato isolamento: avevo e ho paura del contagio e vedo intorno a me un esercito di pazzi che si comportano in modo sconsiderato.L’ isolamento volontario è diventato indispensabile, e ha acuito le polemiche di tutti, tanto che evito ormai di sentire amici e familiari per non dovermi sempre giustificare. La pandemia ha travolto la vita di tutti, e forse anche la testa. Ancora di più ora che, dopo l’estate, i casi sono di nuovo aumentati. Nonostante ciò sento che vorrei uscire, ma proprio non ce la faccio. Che sarà di me, quando tutti dimenticheranno la mia stessa esistenza: a volte mi si profila uno scenario drammatico.
Paola, da Napoli.
“Ritorno al futuro”… che non c’è stato, potremmo dire riferendoci a quello che la nostra lettrice ha descritto. Quando si parla di futuro, è insita la speranza di lasciare andare tutto quello che ha accompagnato la vita. La pre-occupazione, quindi, è in noi a prescindere dalle nostre proiezioni temporali. Nel senso che le nostre ansie, le nostre angosce, le nostre paure, sono già dentro di noi a prescindere da quello che la vita ci propone. Il virus ha fatto senza dubbio emergere la nostra precarietà. Pensavamo di poter controllare tutto, ma da questo controllo il futuro ci sfugge di mano, diventando nebuloso, angosciante, con la riemersione di paure ataviche che ci proiettano in una sospensione temporale. Pensavamo di essere i padroni del mondo, del nostro spazio-tempo, al di là delle considerazioni aristoteliche che all’interno delle due caegorie osservava le evoluzioni dell’uomo. Che fare? Ci siamo distratti? Presi troppo da altro? Forse dalle nostre frenesie, dai nostri giochi di ruolo, dalle nosre fughe continue, in fine ci siamo resi conto che abbiamo lasciato sempre meno spazio alle nostre relazioni “reali”, quelle che vanno oltre lo schermo che ti propone un social. Di quali virus si ha paura oltre al Covid-19? La nostra lettrice, come tanti altri, sta vivendo l’angoscia di un virus che si manifesta nella sua dimensione più inquietante, La paura di ritornare a ricontattare l’altro, perdendo la dimensione di socialità che caratterizza noi animali sociali. Raffigurando nell’altro il pericolo contaminante e perciò da evitare per la sua contagiosità. Un mondo malato quello che si profila all’ esterno, per questo un altro da cui difendersi. Ma da cosa, se non da se etessi?
Dott. Raffaele Virgilio – psicologo e psicoterapeuta – virgilioraffaele@gmail.com
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