L’angolo dello psicologo. “Cerco la strada per ritrovare mio padre”

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Caro dottore, le scrivo mentre, ancora giovane e realizzato in una professione incerta ma affascinante come quella dell’attore, cerco una “strada” per ritrovare mio padre. Una strada interiore ed un’occasione reale, e mi ritornano alla memoria tutti i moventi della mia separazione da lui. Mio padre, un medico affermato, avrebbe voluto che io seguissi le sue orme, e dopo aver passato i test di medicina, non ancora ventenne, con grande sforzo ho agito in contrasto con le sue aspettative, ho seguito la mia passione, il teatro. La rottura in famiglia è stata inevitabile, la delusione grande che infliggevo ai miei genitori non mi è stata mai perdonata. La mia strada oggi è ricca di soddisfazioni, amare a volte, per la grande frattura che mi è costata; mi ritrovo a Napoli con la mia compagnia teatrale. Ecco dunque, cerco la strada per ritrovare mio padre, senza saperne l’indirizzo, senza sapere come.

Fulvio, Napoli

Non è una nostra scelta venire al mondo, siamo frutto di un’altra progettualità e di altre idealizzazioni.  Ma non per questo si rimane per tutta la vita vincolati a quello che gli altri avrebbero desiderato per noi.  Ad un certo punto si deve creare una faglia, una rottura, una separazione, che nel suo manifestarsi è sicuramente causa di sofferenza, non indolore. E’ il prezzo che si paga per il proprio processo di personalizzazione, che deve avvenire per non rischiare di rimanere oggetti di altrui giochi esistenziali. Nella pratica quotidiana è quello che si osserva quando ci troviamo a contatto con genitori che sembrano possedere il destino dei figli, in quanto ereditari di tutto quello che è già stato deciso per loro. Ma la vera eredità è altro, non legata a beni materiali o al proseguimento di ruoli già individuati per successione. La persona deve seguire il suo talento, per iniziare la sua individualizzazione, e non deve farsi rinchiudere all’interno della sua in-sufficienza, della sua incapacità di scelta per se stesso, dietro alla quale si nasconde quasi sempre l’insistenza paterna che tende a ostruire la vocazione del figlio, vittima dell’aspetto egoico del genitore. Hegel affermava in un’ottica fatalista che la vita si gioca su un piano dove tutto è già deciso, noi non la possiamo pensare allo stesso modo, se non altro per il libero arbitrio, per il proprio senso di responsabilità, per la propria autodeterminazione, che ci fa mettere in discussione, richiamandoci a noi stessi in tutto quello che facciamo, che costruiamo,  quello a cui teniamo, per andare oltre la fatticità dell’esistenza, che resterebbe tale se ci affidassimo solo a un percorso già strutturato per noi. A questo punto che ne sarebbe del nostro desiderio?

Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta

© Copyright Redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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