Alcune testate giornalistiche dell’area nord questa mattina hanno pubblicato alcune conversazioni stralciate dagli dell’inchiesta della DDA di Napoli che ha portato all’arresto di 25 persone, indagate a vario titolo, perassociazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, estorsione, tentata estorsione, usura, trasferimento fraudolento di valori, corruzione e altri reati aggravati dal metodo mafioso
Tra questi, ricordiamo, figurano elementi di spicco del clan Mallardo, l’ex sindaco di Giugliano Antonio Poziello, l’ex assessore comunale Giulio Di Napoli, gli ex consiglieri comunali Pasquale Casoria, Paolo Liccardo, Andrea Guarino e, l’ex dirigente assetto e territorio del comune di Giugliano Filippo Frippa.
In particolare viene riportata, dai giornalisti, una dichiarazione di Andrea Abate (zio Andrea), considerato dagli inquirenti un elemento di spicco del clan, collegato con l’amministrazione Poziello, in cui si evince che lo stesso Abate prova a capire se sia possibile “parlare” con il nuovo primo cittadino, Nicola Pirozzi, eletto nel 2020, volendo verificare se vi fossero gli estremi per accordarsi al fine di ottenere vantaggi e/o utilità di diversa natura.
Abate afferma che: «Nicola è un carabiniere… eh», lasciando intendere che rifiuta sindaco qualsiasi forma di compenso illecito ma allo stesso tempo “chiedendo solo di creare posti di lavoro rifiutando qualsivoglia compenso in denaro”.
C’è solo una riflessione da fare ed è la seguente: la dichiarazione di un soggetto ritenuto vicino ad un Clan può bastare affinché si eviti la nomina di una commissione di accesso agli atti da parte della Prefettura di Napoli? Noi riteniamo che non basti, in primis perché anche l’attività di un politico finalizzata ad agevolare l’assunzione di persone in azienda destinatarie di appalti o che operano per conto del Comune, è considerata un’attività non proprio lecita. Sicuramente non è il caso di Pirozzi, ma è bene chiarire.
Tuttavia bisogna ricordare che le commissioni d’accesso, nominate dal Prefetto per verificare l’ingerenza mafiosa delle consorterie locali, non tengono conto dell’eventuale onestà o meno di un sindaco, ma hanno il solo compito di accertare l’eventuale condizionamento mafioso in un ente. Corre l’obbligo di ricordare che alcuni consiglieri comunali, indagati nell’inchiesta sul Clan Mallardo, hanno fatto parte della maggioranza Pirozzi fino a qualche mese fa, prima di dimettersi, perché indagati in altri filoni d’inchiesta.
Anche lo stesso Poziello, prima del caso Tecknoservice, sedeva in consiglio comunale. Il pericolo di condizionamento mafioso non sussiste solo se il sindaco è coinvolto, ma anche se amministratori e consiglieri hanno legami con il crimine organizzato. Ma c’è di più.
Anche alcuni esponenti dell’apparato burocratico-amministrativo sono coinvolti in inchieste per corruzione e altri reati a vario titolo. Per questo, oltre che valutare la figura del sindaco, andrebbero presi in esame tutti gli aspetti, a 360 gradi, che riguardano il comune di Giugliano.
Motivo per cui è più che urgente e improcrastinabile l’invio di una commissione d’accesso al Comune di Giugliano, al netto delle simpatie o antipatie per Pirozzi.
Per coloro che vogliono approfondire richiamiamo i contenuti della legge sullo scioglimento dei consigli comunali.
Lo scioglimento dei consigli comunali è una misura che non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo di carattere straordinario, in quanto ha come diretti destinatari gli organi elettivi nel loro complesso e non il singolo amministratore (come invece disciplinato dall’art. 142, che prevede la rimozione in caso di «atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico»): incide quindi in maniera rilevante sull’autonomia degli enti locali. Anche sotto questo profilo, in ogni caso, la legislazione è stata ritenuta dalla Corte costituzionale conforme al dettato della Carta fondamentale, proprio in ragione dell’esistenza di elementi attendibili sulle collusioni, anche indirette, degli organi elettivi con la criminalità organizzata: lo scioglimento di tali organi può considerarsi l’extrema ratio dell’ordinamento per salvaguardare la funzionalità dell’amministrazione pubblica (Corte cost. n. 103 del 1993).
Attraverso lo scioglimento degli organi elettivi si vuole interrompere un rapporto di connivenza, ovvero di soggezione, dell’amministrazione locale nei confronti dei clan mafiosi, in grado di condizionarne le scelte attraverso il ricorso al metodo corruttivo o per il mezzo di pressioni e atti intimidatori.
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