Il processo Pip va avanti a ritmi sostenuti. Nelle ultime udienze riflettori puntati sugli affari immobiliari di Di Guida

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Va avanti a ritmi sostenuti, in pratica un’udienza ogni sette-dieci giorni, il processo Cesaro sull’area Pip di Marano. Nell’ultimo mese e mezzo sono stati ascoltati, in qualità di testi, i carabinieri del Ros che eseguirono diversi accertamenti sull’area industriale e sugli imputati.

Sono stati escussi, di recente, i marescialli Granata e De Rosa e il maggiore Massimiliano Russo, numero tre del Ros all’epoca dell’avvio dell’inchiesta coordinata dal pm Maria Di Mauro.

Nell’ultima udienza, tenutasi qualche giorno fa ad Aversa, è toccato all’avvocato Briganti, difensore di Antonio Di Guida (presente in aula), imprenditore ed ex esponente provinciale di Forza Italia, rivolgere in sede di controesame diverse domande al maresciallo De Rosa, l’uomo che arrestò Di Guida nell’aprile di due anni fa.

Briganti si è soffermato sulle modalità di investigazioni fatte dal Ros, con particolare riferimento agli affari immobiliari compiuti da Di Guida e dalle società di cui era socio nei territori di Villaricca, San Giovanni a Teduccio, Lago Patria, Marano e Napoli (Colli Aminei).

Il maresciallo De Rosa ha ribadito che l’assunto che Di Guida fosse un imprenditore contiguo ad ambienti malavitosi è derivato essenzialmente dall’ascolto delle intercettazioni ambientali e telefoniche, da alcune conversazioni e dal racconto dei collaboratori di giustizia, Perrone in primis.

De Rosa, sollecitato dall’avvocato di Guida, ha inoltre ribadito di non aver eseguito (né lui né altri) indagini sui flussi di denaro posti a capitale per i business immobiliari ritenuti dagli inquirenti frutto di illecita attività.

L’attenzione si è poi focalizzato su un affare immobiliare che in realtà non si è mai concretizzato: ovvero il cosiddetto palazzo della Starza, zona del cuore antico di Marano.

“L’affare risale all’inizio degli anni Novanta – ha spiegato il militare dell’Arma – e fu un’operazione gestita dalla società Serm che acquistò una porzione del fabbricato. L’altra porzione, verso il 2002, fu invece acquistata da una società, Laura sas, riconducibile all’imprenditore Antonio Simeoli, alias Ciaulone, già condannato in via definitiva”. Di Guida, secondo il racconto del carabiniere, avrebbe poi cercato di addivenire a un compromesso con Simeoli, per acquisire l’intero fabbricato e portare avanti l’operazione immobiliare. Simeoli avrebbe però ostacolato quel piano e chiesto di pagare solo a licenze ottenute.

Sono stati poi toccati altri argomenti e, tra questi, l’affare immobiliare realizzato con Angelo Simeoli, meglio noto come “Bastone”, l’argomento Ginevra (società di Di Guida e altri) e non sono mancati i riferimenti ai rapporti tra Di Guida e Rocco Cafiero, che secondo il pentito Di Lanno sarebbe organico ai clan di Marano.

Briganti ha a più riprese chiesto (ricevendo un no) se le forze di polizia avessero effettuato indagini o seguito le “tracce del danaro” in modo da rendere plausibile il teorema che si trattasse di soldi “investiti dal clan Polverino”.

A un punto morto, invece, gli altri due processi scaturiti dal filone Pip: quello sul voto di scambio, che vede coinvolti diversi ex amministratori, vigili e funzionari del comune di Marano e quello sulle intestazioni fittizie, che vede tra gli imputati l’ex dirigente dell’area tecnica Gennaro Pitocchi.

 

© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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