Don Mimì Dragone nasce nel 1942, mentre l’Italia ansimava tra le macerie. Fin dai giorni del seminario, non è solo l’intelligenza a distinguerlo, ma una generosità senza riserve che è, prima di tutto, una vocazione. Ordinato sacerdote da Monsignor Vito Roberti – che lo volle al suo fianco come segretario – Don Mimì non si lasciò sedurre dalle stanze del potere ecclesiastico. Il suo cuore batteva altrove: nelle strade, tra la gente, nelle periferie dell’anima dove la vera battaglia per la fede si combatte ogni giorno.
Marcianise: Dalle Macerie alla Missione
Giunto a Marcianise, si trovò di fronte a due chiese, Santa Maria Maddalena e San Lorenzo, più simili a rovine che a luoghi di culto. Dove altri avrebbero visto solo abbandono, egli scorse un campo da dissodare. Si insediò come parroco di Santa Maria Penitente. L’accoglienza fu fredda, quasi un monito: “E quella è parrocchia?” gli chiesero. Don Mimì rispose non con le parole, ma con la mite forza della perseveranza. Non si ritirò. Iniziò a costruire, mattone su mattone, non solo l’edificio, ma le fondamenta invisibili di relazioni, fiducia e comunità.
Il sogno di una nuova chiesa prese la forma di una necessità: offrire un luogo non solo per la liturgia, ma una vera dimora spirituale. Nacque così la chiesa di Santa Maria Penitente in Nostra Signora di Fatima, la cui architettura stessa è un manifesto di comunione: l’altare al centro, i banchi disposti a ferro di cavallo, evocando un’assemblea sinodale. Qui, nessun fedele è spettatore, ognuno è partecipe. È la teologia viva del popolo di Dio tradotta in spazio sacro.
Il Pastore che Non Cerca il Successo
Don Mimì non era il prete della sacrestia. Era l’uomo dell’ascolto, del conforto, dell’accompagnamento. Rammendava i tessuti lacerati delle famiglie, accoglieva gli smarriti e portava la luce agli ammalati. La sua fede era sobria, mai ostentata, ma profondamente incarnata nel quotidiano. Era, con le parole di Papa Francesco, il pastore che “odora di pecore.” Non cercò mai gli onori, ma la fedeltà alla sua gente. E proprio per questo, divenne la bussola, il fratello, l’amico di tutti.
Nel 1999, alla vigilia del Grande Giubileo, consacrò il Santuario Nostra Signora di Fatima. Non un semplice edificio, ma un faro: il luogo dove la speranza prendeva forma e dove la Vergine di Fatima vegliava su una comunità che aveva imparato a credere nella luce, anche quando il buio sembrava inghiottire ogni cosa.
Il Furto e la Resilienza della Fede
Qualche anno dopo la consacrazione, alla vigilia di Pasqua, un furto sacrilego scosse il Santuario: venne rubato l’ostensorio. Don Mimì non si lasciò vincere dallo sconforto. Con una miscela di fede e pragmatica intelligenza, si rivolse a un artigiano locale. Fece intagliare pezzi di legno, li ricompose, li rivestì di foglie d’oro e li benedisse. Così, da un atto di vuoto, nacque il nuovo ostensorio, simbolo tangibile di rinascita e resilienza. Le sue parole furono un credo: “La fede non si ruba. Si ricostruisce, si rinnova, si benedice.”
Durante il tempo della pandemia, quando il distanziamento era legge, Don Mimì salì sul balcone. Non per mettersi in mostra, ma per accorciare la distanza. E da lì, pronunciò parole che diventarono un monito scolpito nei cuori: “Dovete scegliere la vita, sempre.” In un’epoca dominata dalla paura, egli indicava la strada maestra della speranza. Era il Vangelo vissuto, proclamato con gesti tanto semplici quanto profondi.
Finché ebbe forza, Don Mimì continuò a sognare. Volle una sala commiato, un ultimo luogo di dignità per i fedeli che salutavano i propri cari. Una cura pastorale che non si arrestava nemmeno di fronte alla morte, un segno di una fede che accompagna e non abbandona mai.
Durante la pandemia, quando le porte delle chiese si chiudono, Don Mimì apre il suo balcone. Celebra la messa da lì, come un pastore che non abbandona il gregge. E pronuncia parole che diventano memoria:
“Dovete scegliere la vita, sempre.”
Presenza che Resta: Il Lascito Immateriale
Don Mimì Dragone ha incarnato il ministero come servizio totale, come dono instancabile, come presenza costante. Ha gettato ponti, ha acceso fari e ha seminato la speranza in un terreno spesso arido.
Oggi, anche se il tempo ha segnato il suo corpo, il suo spirito vive indomito. Pulsa nelle pietre del Santuario, risuona nei cuori dei fedeli, e continua a dire, con la voce rassicurante del pastore: “Non abbiate paura.”
Sotto lo sguardo amorevole della Madonna di Fatima, il Santuario resta un punto fermo. E Don Mimì, il pastore instancabile, continua a guidare e a ispirare. Perché la santità non risiede solo nei miracoli clamorosi, ma nella fedeltà quotidiana. E quella, a Marcianise, ha un nome unico: Don Mimì.


























