Vomero. Nuovo centro con campi da tennis, ristorante e parcheggio a via Aniello Falcone: il mega business della società dei Simeoli

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Campi da tennis e Padel, area eventi, solarium, ristorante, lounge bar, un centro fitness e un parcheggio con 120 box auto su tre piani e un parco pubblico con vista sul mare di Napoli. Sta per realizzarsi il nuovo centro sportivo di via Aniello Falcone, al Vomero. Il progetto risale ad un ventennio fa. L’opera venne approvata dall’allora giunta comunale, guidata dall’ex sindaco Rosa Russo Iervolino, con la delibera nr. 2274 del 2007. La società proponente è la immobiliare Belvedere spa, proprietaria dei suoli. Tempo fa il permesso rilasciato alla Belvedere spa – sulla scorta di un’indagine della Procura di Napoli – fu ritenuto illegittimo. Secondo la Procura, i pareri rilasciati dall’Autorità di Bacino e dal Genio Civile, erano fondati su indagini “carenti e incomplete”, area che in parte ricadeva anche in una zona ad elevato rischio idrogeologico. L’altra destinataria del permesso all’epoca era la Holding Project srl, a cui erano stati affidati i lavori di realizzazione del parcheggio. Entrambe le società erano destinatarie di un provvedimento di sequestro preventivo emesso nel 2012 ai sensi della normativa antimafia, richiesto dalla Direzione Distrettuale Antimafia partenopea e riguardante l’intero capitale sociale della Holding Project e di quote del capitale sociale della Immobiliare Belvedere, intestate a suo tempo a Carlo Simeoli, figlio di Angelo Simeoli, noto imprenditore del mattone maranese. Carlo è stato, in passato, destinatario di misure cautelari e indagini della Dda di Napoli.

Oggi la situazione pare si sia sbloccata, dopo la sentenza di assoluzione di Angelo Simeoli dal concorso esterno con il clan Polverino, ma a carico dello stesso, padre di Carlo, sussiste una condanna in primo grado per corruzione nell’ambito del processo a carico dell’ex sindaco di Marano Mauro Bertini, di alcuni tecnici comunali e dei fratelli Cesaro.

Anche a carico del fratello di Simeoli Carlo, Renato Simeoli, figlio di Angelo, è tuttora vigente una condanna in primo grado per intestazione fittizia di beni. L’imprenditore era stato rinviato a giudizio nell’ambito di una complessa vicenda riguardante il ristorante Villa Borghese, sequestrato una decina di anni fa, affidato a una curatela e finito poi nelle mani di una società e personaggi a loro volta legati ai Simeoli. Il ristorante era stato anche interdetto per mafia, dalla prefettura di Napoli, ancor prima dell’indagine della Dda di Napoli condotta dai pm Di Mauro e Visone.

Per quanto concerne la figura di Angelo Simeoli, padre di Carlo e Renato, nelle conclusioni riportate nella sentenza a carico di Bertini, Santelia e i Cesaro, si legge quanto segue: “Le dichiarazioni rese da Perrone Roberto, Simioli Giuseppe e Ruggiero Giuseppe (esponenti del clan Polverino, ndr.) vanno qualificate come chiamate in correità dirette, che si riscontrano estrinsecamente in maniera individualizzante e consentono, dunque, di ritenere univocamente e definitivamente acclarato che Polverino Giuseppe fosse in società con Simeoli Angelo e che i due avessero una frequentazione costante, percepita direttamente dai colonnelli di Giuseppe Polverino, che addirittura venivano allontanati all’arrivo di questo personaggio, non essendo ammessi a conoscere direttamente il tenore degli accordi e l’entità dei guadagni. D’altro canto, è univocamente dimostrato che Simeoli Angelo versava i proventi delle attività direttamente alla cassa del clan, conferendo il denaro direttamente a Giuseppe Polverino ovvero ad un altro affiliato, Cerullo Sabatino, che li consegnava a Ruggiero Giuseppe che, essendo il cassiere, aveva contezza diretta di tale circostanza. Il Tribunale non ha ritenuto che vi fosse alcuna contraddizione intrinseca nel narrato di ciascuno dei tre collaboratori che, da un lato, hanno affermato con decisione che Polverino Giuseppe e Angelo Simeoli fossero in società e, dall’altro, hanno fatto riferimento al versamento dell’estorsione. Orbene, proprio la dichiarazione resa da Perrone Roberto offre in sé il chiarimento della presunta contraddizione, tenuto conto che lo stesso Perrone dichiarava di versare egli stesso l’estorsione al clan per le speculazioni edilizie che realizzava, facendo riferimento alla necessità di finanziare un clan costituito da numerose persone per evitare invidie e gelosie e mantenere così il ruolo apicale. Anche Simioli Giuseppe evidenzia durante il suo esame che chi pagava l’estorsione non doveva mettersi a posto e ancora Ruggiero Giuseppe, in quanto cassiere del clan, aveva appreso direttamente da Polverino le diverse modalità di gestione del rapporto con gli imprenditori. Il Tribunale ha, dunque, ritenuto che i dichiaranti con riferimento a Simeoli Angelo non abbiano inteso usare il termine estorsione in maniera tecnica, bensì abbiano fatto riferimento al versamento della somma di denaro dovuta per finanziare il clan anche dagli stessi partecipi”. 

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