Nonostante i silenzi della sinistra e i tentativi di insabbiare il più grande scandalo politico-giudiziario della Terza Repubblica ai danni di esponenti del centrodestra, l’inchiesta dossieraggio non solo è arrivata a una clamorosa svolta investigativa, con la richiesta di arresto dei due servitori dello Stato accusati di aver spiato i politici e aver trasmesso documenti riservati a una cerchia di giornalisti, che poi pubblicava puntualmente le notizie sul quotidiano per colpire l’avversario politico. Ma alimenta ancor più il mistero sui presunti mandanti che avrebbero favorito quel “verminaio” dell’Antimafia, il tempio sacro della legalità di Giovanni Falcone diventato una sorta di centrale dei dossier, e che oggi si muovono nell’ombra per tentare di depistare le indagini, grazie alle solite coperture. Il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, titolare dell’inchiesta, ha chiesto la misura cautelare per il finanziere Pasquale Striano e per l’ex pm della Direzione nazionale Antimafia, Antonio Laudati, rispettivamente responsabile del gruppo Segnalazioni per operazioni sospette e coordinatore dell’ufficio. Come emerge dagli atti, Striano avrebbe effettuato migliaia di intrusioni illecite al sistema analisti e scaricato una mole enorme di file riservati, che avrebbe puntualmente condiviso con i cronisti di Domani Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine, indagati in concorso con i due servitori dello Stato per accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione del segreto istruttorio. Laudati e Striano rispondono pure di falso in atto pubblico e abuso d’ufficio, reato quest’ultimo abolito recentemente dal Parlamento. Inoltre contro i due c’è l’accusa di aver confezionato dossier pre -investigativi, inviati all’allora procuratore capo della Dna Federico Cafiero De Raho, oggi parlamentare dei 5 Stelle, in cui avrebbero I file riservati Tra la mostruosa documentazione di ordinanze uscite dal colabrodo dell’Antimafia ben 337 file inviati da Striano a Tizian mentito sulla reale fonte d’impulso dell’attività d’indagine. Dietro uno di questi fascicoli, secondo l’accusa, ci sarebbero stati interessi personali della toga, come emergerebbe dai controlli nelle banche dati fatte da Striano su alcuni soggetti intervenuti nella compravendita di un convento vicino alla casa al mare di Laudati. Le risultanze alle contestazioni della Procura di Perugia, che troverebbero riscontro in un faldone al momento di circa 5mila pagine, hanno spinto il procuratore Cantone a chiedere al gip i domiciliari per Striano, ravvisando tutte e tre le esigenze di custodia cautelare, ovvero i pericoli di inquinamento delle prove, di reiterazione del reato e di fuga. A Laudati, invece, viene contestato esclusivamente l’inquinamento delle prove. Il gip di Perugia non ha convalidato il provvedimento, soprattutto sulla base del fatto che, dall’avvio dell’inchiesta, Striano è stato trasferito a L’Aquila e Laudati è andato in pensione. Insomma, per il giudice i due indagati non sarebbero nella posizione di ordire trame segrete. Eppure l’inchiesta è tutto fuoché chiusa. Anzi sono in corso ulteriori approfondimenti che hanno preso slancio dall’attività di intercettazione dei presunti “spioni” e che potrebbero durare mesi. C’è il sospetto che in questa nuova fase investigativa più di qualcosa si stia muovendo attorno alla rete dei protagonisti del verminaio, per intralciare il lavoro della Procura. E non è un caso che il procuratore Cantone, incassato il no del giudice, non si sia assolutamente arreso all’ipotesi di arrestare Striano e Laudati, propendendo per un appello al Tribunale del Riesame, dove sarà un collegio di tre giudici a decidere se mettere ai domiciliari gli indagati. Nell’udienza, fissata al prossimo 24 settembre, l’accusa depositerà nuovi atti per dimostrare la sussistenza delle esigenze cautelari, in particolar modo nei confronti del finanziere, il quale, seppure trasferito dal gruppo Sos dell’Antimafia, è ancora inserito in un ufficio della Guardia di Finanza, a contatto con gli ambienti inquirenti e per nulla lontano dalla cerchia dei giornalisti, come dimostrano anche le lunghe interviste esclusive, una al quotidiano La Verità e un’altra al programma televisivo Le Iene di Italia 1, in cui potrebbe aver mandato dei messaggi in codice e una sorta di avvertimento a più di qualcuno. «Non ci aspettavamo questa richiesta di arresto, un provvedimento che in questo momento appare abnorme, né il reclamo al Riesame», ha commentato l’avvocato Massimo Clemente, difensore del finanziere. «Comunque attendiamo l’udienza del 24 settembre per avere il quadro chiaro della situazione», ha concluso. «A seguito delle notizie apparse su diversi organi di stampa, peraltro riportanti inesattezze, e delle richieste pervenutemi di informazioni e conferme, preciso che, almeno allo stato, non si intende rilasciare alcuna dichiarazione né diffondere atti, a tutela del consigliere Laudati e del doveroso rispetto per l’attuale fase del procedimento», ha fatto invece sapere in una nota il professor Andrea Castaldo, avvocato difensore del pm Laudati. Le difese, nell’udienza al Riesame, daranno battaglia contro la richiesta di arresto. Nel mentre stanno studiando le carte dell’inchiesta, migliaia di pagine che delineano quel presunto dossieraggio che è andato avanti dal 2018 al 2022 nell’ufficio Sos della Dna, dove Striano avrebbe effettuato un numero enorme di accessi abusivi alle banche dati su politici, vip e imprenditori mai coinvolti in indagini su mafia e terrorismo, in concorso con i giornalisti di Domani, i quali, secondo l’accusa, avrebbero richiesto i documenti coperti da segreto che, puntualmente, sono passati dalle banche dati diventando illegalmente esclusive del giornale Domani. Tra la mostruosa documentazione di ordinanze e documenti finanziari usciti dal colabrodo dell’Antimafia e arrivate al quotidiano, ci sono agli atti ben 337 file riservati inviati da Striano a Tizian dal maggio del 2018 all’ottobre del 2022.
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