Il proiettile oltrepassa la testa di Donald Trump lasciando nell’aria una scia sottile di vibrazioni. È un segno impercettibile, che viene immortalato per caso da uno dei giornalisti presenti al raduno repubblicano nella contea di Butler, in Pennsylvania. Il suono secco di altri due colpi. Poi il tycoon si accascia, mentre una macchia di sangue gli tinge di rosso la parte superiore dell’orecchio destro. C’è chi teme il peggio. È il panico. Non solo tra i presenti, divisi tra chi non comprende cosa sta accadendo e chi, invece, prova a ripararsi in qualche modo. Ma anche, e soprattutto, tra gli agenti di sicurezza del repubblicano. L’evento che nessuno si aspettava, un attacco diretto al cuore della democrazia americana, è diventato realtà. Ed è troppo tardi. Qualcosa non ha funzionato, nella protezione del tycoon. In almeno cinque punti:
- Il counter sniper agisce eccessivamente in ritardo (dopo il secondo colpo) e, soprattutto, non vede il terrorista sdraiato sul tetto mentre, come abbiamo scritto, alcuni persone presenti alla manifestazione lo avessero visto
- Attorno a Trump erano presenti diversi servizi di sicurezza che, però, non si sono saputi coordinare tra loro nel momento in cui il 45esimo presidente americano è stato colpito
- L’intervento di protezione è arrivato con un ritardo eccessivo ma, soprattutto, Trump è stato assecondato nelle sue richieste (“fatemi prendere le scarpe”), al posto di portarlo via tempestivamente. L’agente donna, mentre il tycoon viene portato via, perde tempo con gli occhiali da sole e si inchina per raccogliere il berretto rosso, lasciando esposto il tycoon
- Infine, Tump non viene difeso con alcuna protezione balistica, che un servizio di sicurezza simile dovrebbe avere, ma solo con i corpi o, peggio ancora con le mani, degli agenti.