Sono davvero tanti, forse mille o anche il doppio, così tanti che si fa fatica a crederli tutti davvero amici suoi. «Ma certo che lo eravamo, noi qua bene o male ci conosciamo tutti. E lui era un ragazzo d’oro», taglia corto Emanuele, 17 anni, tirandosi dietro la fidanzatina che non smette di piangere. Tutta Pianura è qui, ci sono moltissime madri sconvolte – «Poteva succedere a qualsiasi figlio nostro, non posso pensare al dolore di quella famiglia» – ma ci sono soprattutto loro, i ragazzi, ad abbracciarsi, a piangere, a cercare le parole per dare un senso all’impensabile. Per molti è il primo funerale, la prima volta a confronto con la morte: «Ma se ti muore un nonno, una persona anziana, lo accetti. Questo no, non possiamo. Non è giusto e basta”.
Sono addolorati e arrabbiati, sconvolti e svuotati. Se provi a chiedergli cosa hanno imparato da questa tragedia, se cambierà in qualche modo la loro vita, ti rispondono che non è il momento, che ci penseranno, si vedrà. Valentina ha 16 anni e vari piercing sul naso e sulla bocca, Francesco Pio era suo vicino di casa, suo compagno di scuola, una presenza costante nella sua vita da che ne ha memoria: «Parlarne a casa? Sì, fatto. Poteva esserci chiunque là, è assurdo morire per un paio di scarpe». Assurdo anche andare in giro con la pistola? «Ovviamente. Ma un sacco di ragazzi lo fa. Lo sappiamo. Ma nessuno fa niente. E noi dobbiamo uscire, mica possiamo chiuderci in casa per la paura». Una giovane donna, madre di due ragazzini che stanno alle medie, conferma: «Li controllo come posso, ma so che questo quartiere è pericoloso. C’è tanta gente perbene, la maggioranza: vedete qua quanti bravi ragazzi. Ma ci sono anche famiglie criminali, e moltissima omertà. Francesco Pio è morto a Mergellina, ma quella mentalità che l’ha ucciso è diffusa da tutte le parti, le bande di ragazzi violenti le vediamo continuamente pure qua».
Giubbotti neri, cappucci neri calati sulla testa, enormi scritte a caratteri celtici su felpe anch’esse nere, tatuaggi sul collo e barba hipster, la verità è che pure davanti a questa marea di “bravi ragazzi”, che in chiesa continuano a piangere e stropicciare fazzoletti, il dubbio di una qualche militanza borderline ti viene. Ma poi alzano la testa, incroci i loro occhi gonfi di lacrime ed è impossibile non vederli per quello che sono, adolescenti spauriti, fragili. Una generazione cresciuta in fretta, che in fretta si è adeguata a codici confusi, aggressivi, buoni per sembrare tutto ed essere niente. Quei ragazzi che si muovono in branco, che si divertono ad andare all’incontrario sulle scale mobili dei centri commerciali e che fanno casino sulla metropolitana, ma non farebbero male a nessuno. Ragazzi che non dovrebbero essere qui, abbracciati stretti in chiesa in un sabato pomeriggio di primavera, non per il funerale di un amico, almeno: «Sì, qualcuno di noi la frequenta, la parrocchia. Francesco Pio? Non lo so, però lui era buono, era serio, si faceva voler bene da tutti», dice Maria, diciott’anni compiuti la settimana scorsa, maturità scientifica tra pochi mesi. Come tanti, indossa la t-shirt bianca con una foto della giovane vittima e la scritta Francesco Pio vive.
È più o meno quello che dice il vescovo Pascarella nell’omelia, «Ora non giriamo subito la faccia», e che dirà a cerimonia finita il sindaco Manfredi, «Questa tragedia deve essere la spinta a fare di più». Quando Federica legge sull’altare la struggente lettera di Chiara al fratello ucciso, tutta la chiesa piange. C’è tutto questo ingiusto dolore cui dare senso, una rabbia sottile, sotterranea, che va incanalata, perché si tramuti in fermento positivo, perché non alimenti pensieri di vendetta. «Non ti dimenticheremo, frate’». L’applauso che accompagna la bara all’uscita è lungo, fragoroso. I ragazzi di Pianura aspettano di poter dedicare al loro amico un’altra storia.
Fonte Il Mattino