Da Israele al Regno Unito, arrivano i primi dati sul calo dell’efficacia dei vaccini

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Tra luglio e agosto Israele e il Regno Unito, due tra i Paesi al mondo che hanno vaccinato di più contro la Covid-19, sono tornati al centro di molti titoli di giornali per l’aumento dei contagi, con gli annessi dubbi sul contributo dato dalla campagna vaccinale.

Visto che in passato abbiamo scritto molto sull’efficacia dei vaccini, anche nel prevenire il contagio, facciamo il punto su che cosa sappiamo adesso, a otto mesi dall’inizio delle somministrazioni, sulla capacità dei vaccini di ridurre il rischio di infettarsi o di sviluppare forme gravi della malattia.

In breve: con il passare del tempo i vaccini, senza grandi distinzioni tra i produttori, sembrano calare di efficacia per lo più nel prevenire il contagio, anche a causa della variante delta, ma la copertura resiste meglio per quanto riguarda le ospedalizzazioni.

Vediamo i dettagli.

Che cosa dicono i dati israeliani

Israele è stato il primo Paese a partire con la campagna di vaccinazione e quindi è al momento quello dove è passato più tempo dalle prime somministrazioni. Questo ha fatto sì che si sia iniziato a osservare un calo della protezione data dal vaccino Pfizer, l’unico usato.

I dati di fine luglio pubblicati dal governo israeliano hanno mostrato che l’efficacia complessiva del vaccino Pfizer nel prevenire l’infezione era del 39 per cento, quella contro l’infezione sintomatica del 40,5 per cento e quella contro l’ospedalizzazione e le forme gravi tra l’88 e il 91 per cento. Ma la protezione contro l’infezione cambiava molto a seconda del mese di vaccinazione: 15 per cento per chi si era vaccinato a gennaio e 75 per cento per chi aveva ricevuto la seconda dose ad aprile.

Israele ha inoltre pubblicato i dati sui tassi delle infezioni post-vaccino, dividendole per il mese di infezione e l’età. Il Grafico 1 mostra come i contagi tra fine giugno e inizio luglio fossero sensibilmente maggiori tra coloro che si erano vaccinati a gennaio e febbraio piuttosto che tra coloro che si erano vaccinati ad aprile, indipendentemente dall’età.

Grafico 1. Efficacia del vaccino Pfizer, in base alla data di somministrazione della seconda dose

Come vedremo meglio più avanti, visti questi dati, Israele ha già iniziato a somministrare una terza dose alla fascia di popolazione più a rischio. Ma prima spostiamoci in Europa.

I dati del Regno Unito

Il Regno Unito è stato il Paese europeo a vaccinare più velocemente la maggior parte della popolazione, utilizzando soprattutto i vaccini di AstraZeneca e Pfizer, mentre quello di Moderna ha avuto un ruolo secondario.

Il 16 agosto un gruppo di ricerca dell’Università di Oxford ha pubblicato una ricerca che mostra come vi sia un calo dell’efficacia dei vaccini contro la Covid-19 nel tempo. Due settimane dopo la seconda dose il vaccino di Pfizer fornisce una protezione contro l’infezione intorno al 90 per cento, mentre AstraZeneca poco inferiore al 75 per cento. Dopo tre mesi dal richiamo, però, i livelli di protezione sono simili perché l’efficacia di Pfizer cala più velocemente di quanto scende quella di AstraZeneca. Secondo i ricercatori, è addirittura probabile che dopo quattro mesi il vaccino di AstraZeneca possa avere un’efficacia maggiore di quella di Pfizer.

Ricordiamo poi che il Regno Unito ha scelto di non rispettare le tempistiche tra le due dosi indicate da Pfizer e di allungare fino a 12 settimane l’intervallo da aspettare prima del richiamo. La ricerca ha analizzato come cambia l’efficacia dei due vaccini quando i richiami sono stati somministrati prima o dopo questo intervallo delle nove settimane, ma non ha trovato differenze statisticamente significative. Il tempo del richiamo non sembra dunque cambiare l’efficacia del vaccino.

Inoltre, i dati mostrano che gli ex positivi al coronavirus che sono stati vaccinati con due dosi hanno una protezione maggiore degli altri. La protezione dei vaccini data agli ex positivi sembra poi diminuire meno velocemente, ma anche in questo caso si vede che Pfizer parte meglio per poi essere, quattro mesi dopo, molto simile a d AstraZeneca.

Sempre nel Regno Unito, a inizio agosto uno studio dell’Imperial College aveva mostrato che al momento la protezione dei vaccini contro l’infezione è del 49 per cento per le persone tra i 18 e i 64 anni.

Gli altri studi

Oltre ai dati provenienti da Israele e Regno Unito, abbiamo a disposizione anche altri studi fatti in Qatar e negli Stati Uniti.

Nel Paese arabo uno studio ha stimato che l’efficacia del vaccino Pfizer nel prevenire l’infezione da variante delta, sia sintomatica che asintomatica, passa dal 65 per cento circa prima della seconda dose al 54 per cento a due settimane dalla seconda dose. Per quanto riguarda Moderna, l’altro vaccino mRna, l’efficacia nei due casi è invece del 79 e dell’85 per cento. A due settimane dalla seconda dose, l’efficacia contro il rischio di avere una forma grave della Covid-19 sono state invece del 90 per cento per Pfizer e del 100 per cento per Moderna.

In Minnesota hanno invece seguito 25 mila operatori sanitari da gennaio a luglio, per capire come si comportavano i vaccini Pfizer e Moderna. A luglio, quando la variante delta era predominante nel Paese, i due vaccini hanno avuto un calo di efficacia nel prevenire l’infezione: la protezione garantita da Moderna è passata dal 91 al 76 per cento, quella data da Pfizer dall’89 al 42 per cento. La protezione contro il rischio di essere ospedalizzati dopo essersi contagiati è invece rimasta molto alta per entrambi i vaccini: a luglio era rispettivamente dell’81 e del 75 per cento.

Sempre negli Stati Uniti, uno studio condotto in alcune case di riposo dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) ha evidenziato che la protezione contro il contagio data da Pfizer e Moderna era del 75 per cento tra marzo e maggio, ma è poi scesa al 53 per cento tra giugno e luglio, quando la variante delta è diventata dominante.

Prima di analizzare brevemente la questione “terza dose”, diamo un’occhiata ai dati italiani più recenti.

Che cosa dicono i dati in Italia

L’Istituto superiore di sanità (Iss) pubblica ogni settimana il numero di persone risultate positive al coronavirus negli ultimi trenta giorni, che come abbiamo spiegato in passato, bisogna leggere con la dovuta attenzione.

Nell’ultimo mese, in Italia, una persona completamente vaccinata ha avuto tra il 72 e il 79 per cento di probabilità in meno di risultare positivo al coronavirus rispetto a una persona non vaccinata, mentre per una persona in attesa di ricevere la seconda dose la probabilità è stata tra il 54 per cento e il 70 per cento in meno.

Anche nel nostro Paese si vede che l’efficacia dei vaccini è di gran lunga maggiore nel prevenire le forme gravi della Covid-19 rispetto all’infezione. Va comunque considerato che i dati sulle diagnosi possono essere molto probabilmente influenzati dal fatto che un vaccinato possa avere una propensione minore a farsi testare rispetto a un non vaccinato.

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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