La sessualità è sempre stata condizionata da notevoli pregiudizi, legati a invadenti e pressanti retaggi storici e culturali. Per lungo tempo, il diverso atteggiamento nei confronti dei comportamenti sessuali maschili e femminili ha costituito una vera e propria doppia morale, la cui influenza, anche se in misura ridotta, si fa sentire ancora oggi.
Questi pregiudizi hanno condizionato anche la ricerca scientifica, determinando ritardi nell’indagare la sessualità femminile, che sono evidenti ancora oggi. La comunità scientifica, piuttosto che approfondire la complessità biologica della sessualità femminile, per secoli ha preferito negarla, avallando moralismi di origine culturale e religiosa, aderendo ai modelli sociali dell’epoca in maniera quasi supina.
Nemmeno lo spirito positivista del XIX secolo che, attraverso la rigorosa adozione del metodo scientifico, permise un grosso passo avanti in tutti i campi del sapere, riuscì a stimolare un’apertura nello studio della sessualità femminile. Anzi, l’ipocrisia borghese dell’epoca vittoriana collimò perfettamente con la negazione e il disconoscimento della sessualità femminile da parte della comunità scientifica. Si diffusero enunciati scientifici, non supportati da evidenze concrete, che assumendo il ruolo di verità assolute, ratificarono il controllo sociale e l’oscurantismo sul mondo femminile. La maggior parte dei primi testi medici sul comportamento sessuale, ebbero un’impostazione tanto rigida quanto quella della chiesa. Si sosteneva che qualsiasi tipo di attività sessuale, slegata dalla riproduzione, arrecasse un grave danno fisico. Si diceva che la masturbazione portasse alla cecità, alla pazzia, alle malattie cardiache e a molti altri disturbi, e che il sesso orale provocasse il cancro. Persino scienziati evoluzionisti come Charles Darwin sostennero che le donne avessero scarse se non inesistenti reazioni sessuali e che fossero inferiori agli uomini sia intellettualmente che fisicamente.
L’evoluto occidente, che giustamente oggi aborrisce le pratiche della mutilazione genitale femminile, all’inizio dell’ottocento adoperò ampiamente l’asportazione del clitoride, quale cura per i disturbi psichici. Fu quello il periodo in cui si diffuse il concetto di isteria. Lo stesso Sigmund Freud, nonostante avesse sinceramente cercato di capire la vita sessuale della donna, riteneva che l’eliminazione della sessualità clitoridea fosse un requisito indispensabile per lo sviluppo di una sessualità adulta.
Del resto, anche le donne sono state e talvolta lo sono ancora, le peggiori nemiche di loro stesse, diventando complici dell’oscurantismo scientifico. Spesso contribuirono ad alimentare il concetto di puritanesimo, rinnegando la propria sessualità. Per le donne, la totale ignoranza del concetto stesso di desiderio e appagamento era da considerarsi un’imprescindibile virtù. Del resto, le ragazze venivano educate nei conventi o sposate in età assai precoce. L’informazione e l’educazione sessuale era completamente negata e il sesso, più che un piacere, veniva ammesso come uno spiacevole dovere. Basti ricordare il ricamo con il quale di frequente venivano ornate le camicie da notte: “Non lo fò per piacer mio, ma per dare figli a Dio”.
La negazione della sessualità femminile andava di pari passo con la divisione dei ruoli di genere. Il ruolo di madre era considerato incompatibile con la sensualità, il desiderio e la sessualità che il marito ricercava, invece, fuori dalle mura domestiche. La prostituzione era più o meno apertamente tollerata, anche se si riteneva che le donne di facili costumi, appartenessero a una categoria completamente diversa e perversa. Infatti, la follia divenne l’elemento di discrimine tra i comportamenti leciti e illeciti. Ciò che non era comunemente accettato, veniva collocato nella sfera del patologico, della devianza e della disfunzione.
Fu quello il periodo in cui si diffuse il concetto di isteria, connessa alla repressione dei desideri sessuali, in quanto regolati già nell’infanzia da una educazione pregna di tabù e divieti repressivi. La donna era descritta come un essere fragile e debole. Questo stereotipo, venne confermato anche dal punto di vista scientifico e il flusso mestruale mensile venne indicato come un inequivocabile segno biologico di debolezza fisica.
Solo a partire dal secondo dopoguerra, la sfera sessuale femminile iniziò a essere oggetto di attenzione e ricerca e l’atteggiamento della comunità scientifica cambiò realmente dalla fine degli anni sessanta. In quei tempi, la diffusione dei primi metodi contraccettivi sancì la separazione tra sessualità e riproduzione. Da allora, la sessualità ha cominciato a liberarsi dalle tante “gabbie” culturali, sociali e religiose e le donne hanno iniziato a rivendicare il loro diritto al piacere, alla conoscenza e all’esplorazione del proprio corpo.
Oggi sembra inconcepibile che questo aspetto della donna, essenziale e complesso, in cui il terreno biologico e psichico si intrecciano strettamente, possa essere stato completamente oscurato anche da intellettuali e scienziati. La sessualità femminile è divenuta oggetto di studio da poco più di una sessantina d’anni, non perché mancavano gli strumenti per poterla indagare ma perché è stata sistematicamente rinnegata.
Ancora oggi, molti aspetti della sessualità femminile restano inesplorati. Ancora oggi il controllo sociale della sessualità femminile ha un ruolo rilevante.
Le questioni morali e religiose sono tutt’oggi concentrate sulla moralità del profilattico o della spirale, sull’aborto, sulle unioni non consacrate, piuttosto che sul dramma delle migliaia di donne che in ogni parte del mondo vengono ancora mortificate, mutilate e defraudate nella loro integrità psico-fisica attraverso la pratica dei matrimoni precoci, delle mutilazioni genitali e della violenza tra le mura domestiche. Purtroppo, bisogna riconoscere che la conoscenza scientifica non è mai stata neutra e porta sempre il marchio dell’ambito dei rapporti sociali in cui si è sviluppata.
Ecco perché il miglioramento della conoscenza della sessualità femminile ha contrassegnato e contrassegnerà i progressi non solo scientifici ma anche culturali e del recupero della parità tra i sessi.
Maria Rossetti, ginecologa e sessuologa
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