Marano e il sistema politico-affaristico che si è mangiato la città. Giuseppe Spinosa, candidato sindaco nel 2001, rompe il silenzio dopo 12 anni e parla della sua storia e degli anni bui della città

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L’ultima intervista di Giuseppe Spinosa, candidato sindaco nell’anno 2001 e poi finito, a pochi giorni dal ballottaggio che si tenne in quella tornata amministrativa (vinta dal candidato Mauro Bertini), nel vortice giudiziario, poiché accusato di esser stato sostenuto dalla camorra (clan Nuvoletta), l’aveva rilasciata più di 12 anni fa, quando “disgustato dagli accadimenti di quegli anni”, decise di dedicarsi esclusivamente alla sua attività di viticoltore e imprenditore del settore eno-gastronomico.

Abbiamo incontrato Spinosa, 58 anni, di professione agronomo, nella sua proprietà di via Cupa del cane, dove cura un vigneto sorto praticamente a ridosso del cimitero di via Vallesana. Spinosa, dopo i recenti accadimenti (la sentenza di condanna degli imprenditori legati alla malavita e lo scioglimento del Comune), ha deciso di rompere il lungo silenzio. Alcune tesi, circa l’ultimo ventennio della vita politica maranese, sono state esposte a più riprese dal nostro portale. Oggi a confermarle è proprio un protagonista di quegli anni oscuri, arrivato ad un passo dal diventare sindaco e poi caduto su una telefonata che gli costò carissimo.

“Bisogna fare chiarezza – esordisce l’ex esponente del Partito Popolare – su tutto ciò che è accaduto negli ultimi 20-25 anni a Marano, in particolare sul progetto politico-affaristico che ha gestito le sorti del Comune. Il recente scioglimento per camorra dell’ente comunale è solo una goccia nel mare rispetto a quanto era accaduto negli anni precedenti”.

Dottor Spinosa, si spieghi meglio. Cosa intende per progetto politico-affaristico?

“Alla luce delle rivelazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia e da quel che è stato accertato con le ultime sentenze della magistratura, emerge un quadro chiaro, univoco: negli ultimi 25 anni a gestire gli affari e la politica a Marano era il clan Polverino. Una gestione costruita e sviluppatasi attraverso i propri referenti: gli imprenditori edili Simeoli, a loro volta rappresentati nelle istituzioni da alcuni politici del territorio. Grazie a questi mediatori politici gli imprenditori legati alla camorra sono riusciti a fare il bello e il cattivo tempo negli uffici comunali”.

Questo sistema quando sarebbe stato creato e chi lo avrebbe avallato o sostenuto?

“L’influenza del clan Polverino era già forte, anche sulla sfera politica, a partire dagli anni Novanta. Lo si evince chiaramente da svariate vicende amministrative, come quelle relative ad alcune lottizzazioni edilizie. La C14, ad esempio, ma anche la C11 e altre ancora. Basterebbe verificare i nomi e il “curriculum” di chi era componente della commissione edilizia in quegli anni. Mi riferisco ad un tecnico in particolare, che ha poi lavorato su tantissimi progetti appetiti alla camorra. Il salto di qualità arriva, però, verso la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila. In quegli anni, infatti, vengono ordite situazioni e progetti come il Pip, l’acquisto di palazzo Merolla, l’ampliamento cimiteriale, la costruzione edilizia di via Casalanno e tanto altro”.

In quegli anni alla guida della città c’era un sindaco comunista, Mauro Bertini, sostenuto da una coalizione di sinistra. Lei, come tanti altri in realtà, sostiene quindi che i “poteri forti” dell’epoca appoggiarono quel determinato disegno politico?

“Mi sembra evidente. Era già chiaro in quell’epoca ed è diventato ancora più chiaro alla luce di quanto emerso negli ultimi mesi. Bertini non era una meteora arrivata improvvisamente a Marano. Era entrato in contatto con una certa imprenditoria maranese già negli anni Ottanta. I rapporti, poi, si intensificarono con la nascita della Comunità artigiana, fondata proprio da Bertini. Bertini era il co-segretario del Partito Comunista che decise di dare sostegno politico, alla fine degli anni Ottanta, alla giunta Credentino. Successivamente, siamo nell’anno 1990, una parte dei comunisti appoggiò la giunta, quella di Di Lanno, che sarebbe poi stata sciolta per infiltrazioni camorristiche. Tangentopoli sarebbe arrivata di lì a poco e con essa furono spazzati via quasi tutti i partiti: rimase in campo solo il Pci e Bertini, in pratica senza avversari, divenne sindaco nel 1993”.

Lei parla di Bertini, eppure nel 2001 fu lei ad esser accusato dai magistrati di aver ricevuto sostegno dalla camorra. Non c’è una contraddizione in quel che dice? Quelle elezioni lei le perse al ballottaggio, dilapidando, tra l’altro, tutto il vantaggio accumulato al primo turno.

“Fu tutto costruito a tavolino. Gli esponenti di famiglie malavitose erano nelle liste di Bertini e tutto il sistema imprenditoriale “deviato”, come tutti sanno a Marano, sostenne la sua candidatura”.

In una famosa intercettazione telefonica un esponente della camorra locale disse chiaramente che i voti della malavita sarebbero andati a Spinosa.

“Non ho mai ricevuto alcuna telefonata sulla mia utenza telefonica e non ho mai richiesto il sostegno di forze oscure o malavitose. Qualcuno chiamò un mio amico dell’epoca, dicendogli che avrebbero sostenuto la mia candidatura, ma le ripeto: fu tutto frutto di una macchinazione. Sono stato infangato ingiustamente. Per fortuna da quella storia sono uscito completamente pulito, senza alcun rinvio a giudizio o condanna. Anche i magistrati dell’epoca ne erano al corrente”.

Cosa le chiese il magistrato, il giudice Borrelli, che la interrogò?

“Che lui sapeva chi aveva votato per Bertini e che gli interessi erano tutti rivolti al piano regolatore. Mi chiese di dirgli il nome dei costruttori di punta di Marano, di chi aveva appoggiato il candidato Bertini. Non entrai nei dettagli, non risposi esplicitamente, mi limitai a dire: basta vedere le tabelle in strada, quelle delle cooperative e società edilizie”.

Lei parla di macchinazione ordita nei suoi confronti e di non aver mai cercato il sostegno dei poteri forti dell’epoca. Ne è sicuro?

“La storia è chiara. Nel 2001 rifiutai qualsiasi forma di apparentamento: rifiutai persino il sostegno, l’aiuto del terzo candidato sindaco, Michele Carandente, e di Antonio Di Guida, imparentato con il Carandente. Fui avvicinato da tutti, nessuno escluso, ma a tutti dissi no. Avrei potuto vincere, ma non lo feci. Feci opposizione in Consiglio comunale, denunciando alcune cose, tra cui lo scandalo dell’acquisito di palazzo Merolla, comprato dall’amministrazione Bertini ad un prezzo esorbitante e da una ditta in odor di camorra”.

Perché queste cose non le ha denunciate in quegli anni?

“Le nostre battaglie le facemmo in consiglio comunale e nel 2004, anche grazie al mio lavoro e del mio amico Gianfranco Scoppa, si arrivò allo scioglimento per camorra di quella giunta e di quell’amministrazione comunale”.

Il Tar, però, smontò quel teorema.

“Ci sarebbe tanto da dire anche su quella storia. Bertini fu ritenuto un pessimo amministratore, ma non colluso con la camorra, ma la verità è che tutti sapevano che Bertini vinse per l’apporto determinante arrivato da certi ambienti in fase di ballottaggio. Io sono pronto a ribadire questo ed altro in un faccia a faccia con Bertini, davanti a un giudice, in strada, in piazza, in una sede di partito. In qualsiasi momento sono pronto al contraddittorio. Mi si dica solo dove e quando”.

Anche per lei, dunque, l’annus horribilis per il Comune di Marano è stato il 2001?

“Poco dopo la mia sconfitta elettorale, decisi di abbandonare i Popolari, ormai diventati funzionali al “sistema”e passai tra le fila di Forza Italia. Il sostegno a Bertini in maggioranza, invece, fu assicurato da Biagio Iacolare, cresciuto professionalmente e politicamente con i Simeoli. Mario Granata, nel contempo, divenne assessore e Giovanni Gala entrò in Consiglio comunale. Salvatore Perrotta invece andò a ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio comunale. Il cerchio si chiuse e Bertini governò fino al 2006”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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