Fondi coesione, come De Luca spende i soldi dei campani: sagre, feste e tanto altro. Il governo vuol sapere come saranno spesi i 5,9 miliardi di euro, ma lui non vuole

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Il presidente Vincenzo De Luca c’è rimasto male. Lui batte cassa, la scorsa settimana si è presentato di fronte al portone chiuso di Palazzo Chigi per chiedere al governo di sbloccare i quasi sei miliardi del fondo di coesione destinati alla sua Campania e, per rimarcare il concetto, ha pure dato della «stronza», letterale, alla presidente del Consiglio, che lo esortava a lavorare oltre a protestare. Per tutta risposta Giorgia Meloni, in tv, ha ricordato a lui, e informato gli italiani, che il governatore usai soldi di tutti noi in maniera talvolta bizzarra, per esempio per finanziare la festa del caciocavallo podolico.

Fosse solo il caciocavallo podolico, la si potrebbe pure digerire. Il punto è che, come pubblichiamo nell’elenco qui a fianco, peraltro non esaustivo, con i soldi della coesione anziché costruire ospedali o strade la Regione Campania paga feste del fagiolo quarantino e della patata, sagre dello scazziatello aquarese, celebrazioni della Madonna delle galline, l’edizione invernale di Pulcinellamente, la grotta dei Briganti e Cacio e via a proseguire.

Non è denaro buttato si intenda, a ogni spesa è stata trovata la consona giustificazione. Sponsorizzare il caciocavallo serve a «valorizzare il territorio e la sua specificità, per preservarne la valenza storico-culturale ed economica e far conoscere il sistema ecosostenibile della transumanza». Pulcinellamente invece è fondamentale perché «ha saputo dare ottimi risultati a Sant’Arpino e all’intera area Atellana, utilizzando teatro e recitazione come strumenti di educazione e crescita sociale». Che dire poi dei briganti e del cacio, che si propongono di «promuovere il settore gastronomico coniugandolo con le attività naturalistiche di scoperta delle ricchezze del “Parco Nazionale del Cilento”»?

Ma quella imperdibile è senz’altro la processione della Madonna delle galline, la prima domenica dopo Pasqua, quando grazie a un “coccodé” particolarmente insistito fu ritrovata sotto terra un’immagine della Vergine, nascosta per sottrarla ai saraceni. Miracolo da ricordare ogni anno «con la processione e con danze e balli fino a notte inoltrata che richiamano molte persone».

Altre spese hanno motivazioni meno fantasiose, della serie “basta chiedere”. Per i 400mila euro alle Sciantose e Gagà è stato sufficiente scrivere «valorizzazione del patrimonio». La metà ci costano “Vita e arte al castello della Leonessa” o “l’Avella Art Festival”, e non si chieda altro. Anche se 200mila euro per “Terra ‘nnamurata Arienzo e il suo Giacomo Furia, intervento presso il complesso conventuale degli agostiniani” con tanto di cineteca su Giacomo Furia sembra un tantino troppi. Al confronto gli 800mila euro per festeggiare lo scudetto del Napoli ci sembrano pochi; e poi almeno non capita così di frequente…

Insomma, la stilettata governativa è andata a segno. Da qui la reazione di De Luca non certo uno che è andato a lezioni di etichetta a Eton, dove l’aristocrazia inglese educa i propri rampolli -, il quale ha dato alla premier della «stracciarola», accusandola di eccessiva aggressività. Lui, il governatore energumeno che in pandemia voleva prendere a calci i “cinghialoni” napoletani della sua stazza, così li ha definiti, che facevano footing sul lungomare. Il suffisso, «str», è il medesimo; apprezziamo l’abbassamento di toni; d’altronde da don Vincenzo in una settimana non si può pretendere di più.

Per la cronaca, val la pena aggiungere che l’ennesima sbavatura verbale del presidente campano è avvenuta all’indomani del rogo di un manichino raffigurante la Meloni appiccato da dimostranti di estrema sinistra e a stretto giro di posta dalle parole del capo dello Stato, che si è espresso in difesa della premier scagliandosi contro la «intollerabile serie di manifestazioni di violenza, insulti e volgarità di linguaggio» di cui si nutre oggi il dibattito politico. Discorso al vento. De Luca tira dritto e fa orecchie da mercante, anzi da finanziatore di feste del caciocavallo, anche di fronte ai moniti di Mattarella.

Fosse poi solo la fiera del caciocavallo il problema, si diceva… Lo scontro tra De Luca e il governo per il denaro è chiarissimo. Il cacicco campano con i soldi pubblici finanzia la propria classe dirigente, quella che ha portato a Roma come suo seguito personale la settimana scorsa, 700 tra amministratori e sindaci di sinistra intonanti “Bella ciao”, tanto per non sbagliare e per chiudere la bocca a eventuali critiche da sinistra, ma che più dell’allarme fascismo temono la fine dei soldi a pioggia con cui mantenere le rispettive clientele.

Ora il governatore attende lo sblocco di 5,9 miliardi dall’esecutivo ma il ministro per gli Affari Europei e le Politiche di Coesione, Raffaele Fitto, pretende di sapere prima come il denaro sarà utilizzato e vuole anche una tabella di marcia delle spese. È una richiesta fatta a tutte le Regioni, che si sono adeguate o lo stanno facendo. Solo De Luca non vuole rendicontare, malgrado sia riuscito a utilizzare un misero 37%, – 3,5 miliardi su 9,3.

L’accusa del governo, a cui don Vincenzo si ribella, è di non usare i soldi per opere pubbliche e iniziative strutturali, come dovrebbe per vincolo di destinazione, ma di impiegarli per finanziare la spesa corrente o in iniziative elettorali. Lui nega, ma la difesa traballa e la controreplica è tragicomica: «Fratelli d’Italia nella scorsa campagna elettorale ha invitato i propri esponenti a frequentare le sagre e le feste paesane» tuona. Ma un conto è girare le bancarelle sotto elezioni, altro è allestirle per coprire un mercato del consenso.

Pietro Senaldi

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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