Tra le ombre più gravi emerse nella relazione della Commissione d’accesso al Comune di Marano di Napoli figura la gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, uno dei settori simbolo del contrasto alle mafie e, al tempo stesso, uno degli ambiti in cui si è registrata la più evidente inefficienza e opacità amministrativa.
Secondo quanto riportato nel documento allegato al decreto di scioglimento del Consiglio comunale, sintetico della Relazione integrale, le verifiche svolte a campione hanno evidenziato che numerosi beni confiscati risultano inutilizzati, in stato di abbandono o gestiti in violazione degli impegni assunti dal Comune al momento dell’assegnazione.
Un segnale, si legge nella relazione, “della mancata volontà o incapacità dell’amministrazione di valorizzare un patrimonio simbolico e civile sottratto ai clan e destinato a finalità sociali”.
Tra i casi più emblematici, viene citato un appartamento confiscato a un esponente di spicco delle locali consorterie camorristiche, destinato a ospitare attività di carattere sociale. L’immobile, tuttavia, risulta oggi completamente abbandonato, anche a causa di azioni intimidatorie subite dai membri dell’associazione assegnataria, come evidenziato dalla Prefettura di Napoli.
Un’altra grave inadempienza riguarda un terreno anch’esso confiscato a un soggetto contiguo a un clan, sul quale erano stati eseguiti interventi di riqualificazione per la realizzazione di un’oasi ecologica. L’opera, costata risorse pubbliche, è rimasta inutilizzata e priva di gestione, a conferma di un’amministrazione incapace di assicurare continuità e tutela a progetti di interesse collettivo.
Il caso dei box confiscati
Il capitolo più delicato riguarda però la procedura di assegnazione dei box auto confiscati alla camorra, una vicenda che – si legge nella relazione – ha avuto particolare risonanza mediatica e che presenta “plurime e qualificate inadempienze” da parte degli uffici comunali. Alla gara, infatti, hanno partecipato soggetti legati da rapporti familiari con alcuni amministratori comunali, che non avrebbero potuto concorrere se fosse stata operativa una modifica al regolamento comunale volta a escludere tali situazioni di incompatibilità. Il bene non fu assegnato solo dopo la denuncia mediatica di Terranostranews. La procedura fu annullata mesi dopo.
Quella modifica, tuttavia, non fu pubblicata nei termini di legge, rimanendo sospesa per ben 51 giorni, circostanza che consentì ai parenti degli amministratori di partecipare e concorrere all’assegnazione. Sul procedimento, sottolinea la relazione, pende una denuncia per turbativa d’asta, mentre una segnalazione alle forze di polizia ha evidenziato il coinvolgimento nella procedura di soggetti vicini all’ex proprietario dei beni confiscati.
Un intreccio, dunque, che – secondo la Commissione d’accesso – conferma un sistema amministrativo distorto, permeabile e influenzato da logiche di favore e prossimità con l’ambiente criminale, in netto contrasto con la finalità originaria dei beni confiscati: restituire alla collettività ciò che era stato sottratto dalla mafia.
“Una gestione fallimentare dei beni confiscati”
Nelle conclusioni, la relazione del Ministro non usa mezzi termini: la gestione dei beni confiscati da parte del Comune di Marano rappresenta “una delle pagine più desolanti dell’amministrazione sciolta, segnata da incuria, favoritismi e totale mancanza di visione etica e civile”. Quei beni, nati per essere simbolo del riscatto di un territorio piegato dalla camorra, sono diventati emblema dell’abbandono e della distorsione dell’azione pubblica.
Anche su queste tematiche tanti bontemponi all’epoca ci dissero che ci eravamo impressionati ed era tutto regolare. Invece, per fortuna, esistono alti funzionari dello Stato che scrivono e parlano con la legge alla mano e documentano l’illegittimità delle procedure adottate dell’Ente e segnale, a suo tempo, da Terranostranews.
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