C’è stato un tempo in cui i giornalisti, almeno buona parte, si vergognavano di pubblicizzare aziende interdette per mafia o finite al centro di inchieste giudiziarie; c’è stato un tempo in cui i giornalisti, almeno una buona parte, si vergognavano o provano imbarazzo nel propagandare figure politiche dubbie, discutibili, in odor di mazzetta o malavita; c’è stato un tempo in cui i giornalisti, almeno una buona parte, si guardavano bene quanto meno dall’attaccare colleghi che, nel loro piccolo e senza avere potentati, economici e non solo alle spalle, provano a fare del loro meglio, raccontando talvolta realtà difficili, scomode e contesti iper mafiosi.
Questo tempo non c’è più. Oggi chi ha la rogna, per motivi economici o di affinità con politici di camorra o di mazzetta, non si trattiene più e vuole a tutti i costi bacchettare coloro che la pensano diversamente da loro.
Nella vivace e spesso complessa realtà dell’area nord di Napoli, assistiamo a dinamiche politiche che, purtroppo, troppo spesso si intrecciano con il mondo dell’informazione locale. Non è raro osservare come alcune figure del giornalismo, che dovrebbero essere baluardi di verità e trasparenza, si trasformino in megafoni di interessi particolari, oscurando quella funzione critica che è essenza stessa della loro professione.
Assistiamo, con un misto di sconcerto e amarezza, a giornalisti che, con una disinvoltura disarmante, si ergono a paladini della deontologia professionale dimenticandosi di essere promotori diretti e indiretti di campagne elettorali in favore delle solite figure politiche che da anni calcano la scena locale. Questi “professionisti” dell’informazione sembrano dimenticare il loro ruolo di osservatori indipendenti, preferendo indossare la casacca del sostenitore, veicolando messaggi che appaiono più come propaganda che come analisi obiettiva.
Ma il quadro si fa ancora più inquietante quando si nota una certa tendenza a celebrare figure imprenditoriali la cui reputazione è, quantomeno, dubbia.
Premi e riconoscimenti vengono elargiti con una facilità disarmante anche a coloro che si trovano ai margini della legalità, se non addirittura coinvolti in vicende oscure o aziende gravate interdettive antimafia.
Ci si chiede quale sia il metro di giudizio di questi “giornalisti”: forse la vicinanza politica, la promessa di qualche favore o, peggio ancora, una connivenza silente?
È difficile non provare un senso di profonda delusione di fronte a tale svilimento della professione giornalistica. Il ruolo del giornalista dovrebbe essere quello di scrutare, indagare, portare alla luce le verità scomode, dare voce a chi non ne ha, e non certo quello di lustrare la scarpe al potente di turno o di incensare chi opera nell’ombra.
Questa condotta getta un’ombra cupa sull’intero panorama informativo locale, minando la fiducia dei cittadini verso chi dovrebbe informarli correttamente. Come possiamo credere a notizie e analisi quando chi le produce si mostra così palesemente schierato e, in alcuni casi, complice di dinamiche opache?
Finché assisteremo a questo squallido teatrino, la credibilità del giornalismo locale continuerà a vacillare, lasciando spazio a un vuoto informativo pericoloso per la salute democratica del nostro territorio.
Il tutto andrebbe anche bene se solo non si assistesse questo rovesciamento della realtà, dove chi dovrebbe essere criticato si atteggia a giudice e chi, con coraggio, denuncia e informa, viene messo alla gogna.
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