Il ritorno di Neffa. “La mia signorina” era la marijuana, la gente pensava parlasse d’amore”

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“Ho sempre cercato un senso in tutto, a costo di soffrire. Temo la prevedibilità: se vedo un binario davanti a me mi innervosisco, ho bisogno di orizzonti liberi». Neffa, all’anagrafe Giovanni Pellino, torna – venerdì 18 aprile – sulle piattaforme musicali con un nuovo album “Canerandagio Parte 1”. Il suo è un passato artistico variegato: esordiente come batterista in un gruppo hardcore, precursore dell’hip hop italiano e, negli utlimi anni, cantante pop-soul. Per i fan veterani, però, non è mai cambiato e la notizia del nuovo album li ha mandati in visibilio. Il nuovo disco conferma la sua indole da rapper. Rap, ma non trap, anche se ammette di apprezzare il genere in voga: «Da produttore mi capita spesso di cimentarmici. Ormai è un passaggio generazionale obbligato: ai tempi di Goethe per diventare adulto dovevi fare il grand tour dell’Europa, oggi devi farti quattro anni di trap», ha raccontato in un’intervista al Corriere della Sera. “La mia signorina” fraintesa

Ha sperimentato e scoperto diversi generi musicali ma «sicuramente con alcune scelte ho perso. Quando ho iniziato a cantare ho avuto un ritorno pessimo, molti partivano con un pregiudizio nei confronti della mia musica. Avevo esigenza di cambiare: dell’hip hop mi piaceva l’aspetto artistico, ma non l’aderenza ai dogmi da puristi.

 

Ma non fu ben compreso dalla maggior parte e la dedica alla marijuana fu scambiata per un brano d’amore: «Ero fissato con gli esercizi di stile e i messaggi impliciti, ma nessuno capì il sottotesto. Neanche i miei fan, che mi massacrarono, convinti fosse una banale canzoncina su una ragazza. Così svelai il mistero, anche se per anni mi sono divertito a confermare e poi negare che parlasse di cannabis, a seconda del contesto».

I testi dei giovani d’oggi

Oggi il riferimento esplicito non desterebbe la stessa reazione: «La grevità della musica giovanile è fisiologica: mi sorprenderebbe se un adolescente non avesse dentro di sé una certa dose di rabbia. La società però è più sedata che mai, avremmo bisogno di un seme di rivoluzione all’interno dei testi, non solo di edonismo. Singolarmente stiamo tutti malissimo, collettivamente siamo felici e sorridenti nei selfie».

Il modo di produrre canzoni, adesso, è diverso perché è cambiata la richiesta del pubblico. «Faccio una provocazione: un artista che pensa anche al suo tornaconto economico è considerato impuro, ma nessuno si sognerebbe di dirlo di un panettiere. Dai nostri cantanti preferiti ci si aspetta abnegazione, tipo novelli Che Guevara, ma non pretendiamo la stessa coerenza dai nostri politici. Ragionamenti simili mi sembrano delle distorsioni».

© Copyright 2025 redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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