Processo infinito, interminabile, con colpi di scena continui. Oggi a Napoli nord la nuova replica del pm Di Mauro (nella foto), consentita dai giudici di Napoli nord, dopo l’escussione dei pentiti Giuseppe Ruggiero e Giuseppe Simioli. Dopo la Di Mauro toccherà agli avvocati difensori dare vita alla seconda controreplica. Poi, finalmente, arriverà la sentenza di questo importante processo, che vede imputati Mauro Bertini, Armando Santelia (per concorso esterno in associazione mafiosa), Aniello e Raffaele Cesaro (corruzione) e Angelo Simeoli (corruzione).
E’ stata, quella di oggi, la giornata di Maria di Mauro, il pubblico ministero un tempo alla Dda di Napoli e oggi procuratore aggiunto a Napoli nord.
Una disamina di fatti e “misfatti”, lunga e articolata, incentrata essenzialmente su due o tre punti: il pubblico ministero ha voluto chiarire alcuni aspetti, ribadendo che Mauro Bertini e Armando Santelia, con il loro rispettivo operato, hanno effettivamente agevolato le aziende o comunque gli interessi delle consorterie criminali.
“Il collaboratore di giustizia Tipaldi, già nel 1999, affermava che Bertini era stato aiutato, alle elezioni del 1996, dai clan. Tipaldi dice che il clan Nuvoletta puntò su Cavallo e i Polverino su Bertini e che poi, in un secondo momento, si decise di puntare su Bertini”.
Il pm, ricostruendo le vicende di Palazzo Merolla, del Galeota (vicenda definita “scandalosa”) e le questioni dell’area Pip, ha fatto riferimento a tanto altro, in primis al ruolo dei pentiti – tantissimi – che accusano Angelo Simeoli.
“In questo processo, rispetto a quello in cui Simeoli è stato assolto in primo grado, ci sono ancor più pentiti che sostengono la tesi della sua partecipazione al clan Polverino. E non lo dicono figure di secondo piano, ma collaboratori di vertice, come Giuseppe Simioli o Ruggiero”. E ancora: “La sentenza di assoluzione di Simeoli? Andrebbe letta bene prima di parlare. In uno dei passaggi si legge che Simeoli Angelo nel 1990 viene identificato, in auto, dai carabinieri di Marano, in compagnia di Giuseppe Polverino. Nel 1990, all’indomani dell’arresto di Lorenzo Nuvoletta, il padrino di Marano, nel cortile dello stesso viene rinvenuta un’auto intestata alla consorte di Simeoli Angelo”.
Poi un ulteriore affondo: “Ci sono più di 30 pentiti che parlano del ruolo criminale di Simeoli e sono tutti molto chiari ed espliciti. Non si comprende perché questi pentiti siano ritenuti credibili nel processo che ha visto condannare Antonio Simeoli, cugino di Antonio, finito finanche al 41bis, e non siano stati ritenuti validi per Angelo Simeoli”.
Vittime o collusi?
La Di Mauro è stata chiarissima anche su questo punto. I difensori degli imputati, facendo anche riferimento alle dichiarazioni di alcuni pentiti, continuano a ripetere che i loro assistiti pagavano le tangenti al clan. Ma quali tangenti? Lo spiega benissimo Giuseppe Simioli, così come per gli affari di Simeoli nell’area casalese, il collaboratore Raffaele Bidognetti. Ci sono imprenditori che vengono taglieggiati e di questi si occupava Sabatino Cerullo e ci sono imprenditori collusi, che pure versano una quota al clan. Ma non è una tangente, come chiarito tante volte da un altro pentito di primo piano, Roberto Perrone. Si versano soldi e quote per sostenere il clan, che ha spese per detenuti e affiliati. Bidognetti dice chiaramente che Simeoli è un uomo di sistema, che sa come vanno le cose e come ci si comporta in certi casi.
Tangenti fuori dal territorio di Marano
Ci si chiede perché se imprenditori di questa portata, sostenuti dalle cosche, versino tangenti. Non sono protetti? Certo che lo sono, ma quando effettuano operazioni fuori dal loro territorio sono tenuti ugualmente a versare il dovuto a chi è referente in quella zona. E’ del tutto evidente, come evidenziato anche nel processo madre Pip, con le società di Di Guida a San Giovanni a Teduccio, che comunque si deve pagare. Le estorsioni interne al territorio in realtà non sono altro che una tassa, una forma di assicurazione per ottenere i benefici.
La città di Marano.
Il clan Polverino nasce già come clan imprenditoriale e a Marano, ancor più che con la droga, i cui affari poco intaccano con la vita delle persone normali, è il mattone ad aver fatto muovere tutto ed è grazie al mattone che si è creato il consenso, anche quello politico. Attorno all’edilizia e alle imprese, intestate perlopiù a prestanome, ed è a questo sistema che si è piegato Bertini. Lui ne era consapevole ed è egli stesso, già nel 1999, quando fu ascoltato dal pm Borrelli, a riferire che Simeoli appoggiava Di Guida alla Provincia e a parlare di rapporti con ambienti criminali. In aula, qui, Bertini ha riferito, 24 anni dopo, che le voci su Simeoli le aveva apprese dal marciapiede. Non è vero, lui lo diceva nel 1999 e ancora lo ha detto al maggiore Sferlazza con cui aveva allacciato un rapporto durante le indagini sul Pip. E’ lui a dire al maggiore che Santelia è a libro paga del clan, che Simeoli Angelo era una persona chiacchierata ed è sempre lui, nel comizio del 2018, in piazza della Pace (il video di quel comizio è di Terranostranews), che aveva trattato con i prestanome di un camorrista per l’acquisto di Palazzo Merolla, realizzato da una società di Antonio Simeoli. Ed è lui che porta a casa sua le buste della gara per la ristrutturazione del palazzo. E ancora Bertini a nominare Nico Santoro quale progettista del Pip. Era pienamente consapevole di poter agevolare, con la sua condotta amministrativa, soggetti o personaggi coinvolti in dinamiche malavitose. La Cassazione fa chiarezza sul concorso esterno e spiega che esso può essere conferito anche se i vantaggi sono di carattere personale e non associativo. A Marano il voto di scambio politico-mafioso e imprenditoriale c’è stato ed è evidente sotto tutti i punti di vista e tante operazioni, immobiliari in primis, non sono altro che il debito pagato o da pagare per sostegni ottenuti alle elezioni.
La Di Mauro, inoltre, cita le parole di Antonio Di Guida, quelle di Giuseppe Spinosa, ascoltati come teste, quelle di Oliviero Giannella sulla questione Nico Santoro, che la difesa vorrebbe far passare come nemici politici di Bertini o persone che sapevano di essere intercettate. E invece, sostiene la Di Mauro, è proprio Bertini a chiedere al maggiore Sferlazza se fosse intercettato. Ed è vero che la modalità di Bertini è sempre ricattatoria.
Galeota e i rapporti con Danania.
I legali di Bertini sostengono che sia mosso sul Galeota, che abbia fatto casino sui media. La verità è che quando è rientrato dal sindaco non ha mosso un dito per quella masseria, addirittura la sua amministrazione, con l’aiuto di Santelia, revoca le ordinanze di sospensione dei lavori emanati durante la gestione dei commissari.
Gli affari con i Casalesi.
Altro passaggio importante è la sentenza Giuliani e i rapporti tra i casalesi e i maranesi. Angelo Simeoli, come riferito sempre dai pentiti, si avvale sempre di società che appartengono a un determinato mondo, La Cafa 90, la Zingara, Sciccone e tanti altri.
Area Pip
Sono importanti anche le parole di Giuseppe Trinchillo, che chiamato a testimoniare nel processo Pip dice chiaramente che per acquistare un capannone si doveva andare da Angelo Simeoli.
I riferimenti ai Cesaro.
Inizialmente hanno detto qualcosa, poi qualcosa in più, poi solo alla fine hanno rivelato tutto. Dicono di essere andati a raccontare i fatti al maggiore D’Agosto, ma di denunce vere e proprie mai, erano confidenze, così come quelle di Bertini a Sferlazza. Il Pip è un affare a tre teste: politica, camorra e imprenditori.
© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews