E’ stato il giorno di Angelo Simeoli a Napoli nord. L’imprenditore edile, molto noto a Marano, imputato in un processo assieme all’ex sindaco Mauro Bertini e ai fratelli Aniello e Raffaele Cesaro, si è sottoposto all’esame del pubblico ministero, Maria Di Mauro, e delle altre parti processuali.
Ecco cosa ha raccontato Simeoli, confermando ciò che aveva già in precedenza dichiarato al pm Di Mauro, in relazione all’affare Pip e alla Masseria del Galeota. Il palazzinaro ha risposto alle domande formulate dal pm, dal giudice Pacchiarini, dall’avvocato Auriemma e Filippelli, quest’ultimo legale di Bertini.
“Sono un imprenditore edile di Marano, ma ho lavorato prevalentemente fuori dai confini della mia città: a Giugliano, Mugnano, Qualiano e sul litorale domizio. Su un solo intervento edilizio ho investito a Marano, quello relativo alla Masseria del Galeota. Ho avuto rapporti con Di Mauro Paolo (defunto agronomo, ndr), che è stato un tecnico di fiducia della mia famiglia, ci conoscevamo da tantissimi anni, e anche con Oliviero Giannella (ingegnere di recente condannato per concorso esterno, ndr) in relazione alla vicenda Pip, alla quale mi interessai molti anni fa poiché interessato a quel progetto e ai lavori da eseguire. Conosco Antonio Polverino (Zi Totonno, ndr) e so che faceva il costruttore. Non ho mai conosciuto Polverino Giuseppe (‘o Barone, ndr). Conosco Giuseppe Simioli (‘o Petruocelo, ndr) e Salvatore Di Nunzio, quest’ultimo è stato per un periodo il mio commercialista”.
Il rapporto con i Cesaro.
“Ho conosciuto i fratelli Cesaro circa quindici-venti anni fa attraverso Giuseppe Simioli (morto qualche anno fa, ndr), mio familiare all’epoca assessore alla Provincia di Napoli. I Cesaro in quel periodo erano impegnati nella campagna elettorale per il loro fratello Luigi. Ci siamo incontrati diverse volte, soprattutto quando seppi da Mauro Bertini che si erano aggiudicati l’appalto per il Pip di Marano. L’ex sindaco mi chiese se ero interessato a quei lavori e così intavolai una trattativa con i Cesaro, che però non andò a buon fine. Per subentrare a loro nell’affare Pip mi chiesero 7 milioni di euro, 4 per i lavori e 3 per la loro società. Io non potevo pagare in contanti e proposi cambiali. Nel frattempo, siccome ero interessato a quel progetto, avevo dato loro un milione di euro a titolo di anticipo, mediante un bonifico. Non se ne fece nulla perché non avevo i contanti a disposizione e i Cesaro mi restituirono i soldi che avevo anticipato. La risoluzione del contratto avvenne nell’arco di un anno, un anno e mezzo”.
Il ruolo di Bertini.
“Mi recai con Bertini presso l’ufficio dei Cesaro e loro erano favorevoli alla cessione. Successivamente ci incontrammo nella mia masseria: c’erano anche Bertini e Giannella. Bertini fu esplicito: chiunque faccia i lavori, o tu o i Cesaro, a me dovete dare 200 mila euro. Quando ci incontrammo con i Cesaro, Bertini era ancora sindaco. In precedenza avevo incontrato Bertini nella piazzetta di San Rocco e fu lui a dirmi che, per i lavori nel Pip, voleva inserire i locali. Sempre in piazza, a San Rocco, mi parlò della tangente da 200 mila euro che richiedeva”.
Terreni espropriati e la tangente a Bertini.
“Partecipai, sempre a San Rocco, a una riunione con gli agricoltori che dovevano essere espropriati. Quando l’affare con i Cesaro non si concretizzò consigliai loro di dare i soldi richiesti, a titolo di tangente, da Bertini. Semplicemente perché così sarebbero stati lasciati in pace da Bertini, per stare quieti. Bertini era un tipo, almeno questa era la voce che girava, che poteva creare impicci se non lo si accontentava: ti mandava i vigili al cantiere, ti creava fastidi di questo genere. Era uno che stava su tutto. E questo l’ho riscontrato in occasione dei lavori per la Masseria del Galeota, quando pagai una tangente di 40 mila euro a Bertini, 50 mila euro di oneri al Comune e alla fine mi ritrovai con il cantiere sequestrato e il mio nome sui giornali. Era sempre Bertini che, rientrato in sella in municipio dopo il periodo dello scioglimento per camorra, voleva farsi bello con l’opinione pubblica attaccando i commissari, ma io ci finii in mezzo. Voleva passare come l’uomo che non dava l’ok per la cementificazione del territorio. Io la tangente a Bertini la pagai prima di presentare la Dia al Comune. Bertini mi disse che non c’erano vincoli e che se pagavo non c’erano problemi. Lui voleva 70 mila euro, poi scendemmo a 50 mila euro e infine a 40 mila”.
Ancora sul Galeota.
“Ho presentato la Dia (dichiarazione inizio attività, ndr) quando Bertini era ancora sindaco. La tangente l’avevo già pagata, anche in quel caso ci accordammo nella piazza di San Rocco. Al Comune c’era l’architetto Santelia (imputato, ndr). Mi sfogai, in seguito, con Antonio Di Guida raccontandogli l’episodio. Ai proprietari della masseria diedi circa 500-600 mila euro, il pagamento avvenne dal notaio. Bertini fu chiaro: caccia il formaggio e non ci saranno problemi con il Galeota”.
Il pm Di Mauro fa presente che Simeoli presentò la Dia al Comune ancor prima di essere formalmente proprietario del bene. Le difese fanno notare che c’era stato un accordo, una sorta di compromesso precedente con i proprietari dell’antica masseria, poi abbattuta dalle ruspe della sua società che realizzarono 22 appartamenti e box. Il bene è oggi di proprietà comunale, almeno sulla carta, ma l’ente non ha mai sgomberato o demolito la struttura. Alcuni acquirenti degli immobili, acquistati dalla società dei Simeoli, si sono rivolti alla giustizia amministrativa. Solo due hanno ottenuto il via libera (definitivo) dagli organi giudicanti. Simeoli ha ammesso che furono commessi alcuni abusi edilizi durante la fase di costruzione del complesso residenziale.
Rapporti con Bertini.
“Mai stati amici, gli assegni dei Cesaro li cambiai io, ma i soldi materialmente a Bertini li diedero i fratelli Cesaro”. Nel corso del lungo interrogatorio Simeoli ha dichiarato, su domanda del Pm, di conoscere anche Biagio Iacolare e Antonio Simeoli, l’altro cugino imprenditore (attualmente detenuto, ndr)). “Con mio cugino i rapporti non sono mai stati idilliaci, abbiamo lavorato insieme per un periodo, poi dopo il 1990, ognuno è andato per la sua strada”.