Sul terzo mandato, il centrodestra continua a prendere tempo. Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia non riescono a trovare una sintesi che accontenti tutti, e così slitta di una settimana il termine per la presentazione degli emendamenti al disegno di legge (ddl) consiglieri regionali, in commissione Affari costituzionali al Senato, uno dei pochi veicoli parlamentari utili a inserire la norma sul terzo mandato, con l’obiettivo di accelerarne l’iter e portarla al traguardo prima della tornata elettorale d’autunno. E a chiedere il rinvio delle proposte di modifiche al testo che deve aumentare il numero possibile di consiglieri regionali e assessori – riferiscono fonti parlamentari di centrodestra a Open – sarebbe stata proprio la Lega. «Non essendoci un particolare motivo di urgenza» sulla presentazione degli emendamenti, il presidente della Commissione Affari costituzionali, Alessandro Balboni, avrebbe accolto la richiesta del Carroccio, è la spiegazione.
In vista del vertice di maggioranza
L’obiettivo è chiaro: attendere il rientro di Giorgia Meloni dalla sua tre giorni a Kananaskis, in Canada, dove ha partecipato al G7. Così, secondo fonti parlamentari, Matteo Salvini avrebbe spinto per far slittare l’appuntamento di ieri, con l’intento di «guadagnare tempo» in vista del vertice di maggioranza previsto per metà settimana. Un incontro decisivo, in cui il leader della Lega punta a ottenere la benedizione politica della premier e del vicepremier Antonio Tajani sull’emendamento che riaprirebbe la partita del Terzo Mandato per i presidenti di Regione. «Finché non troviamo un’intesa, presentare l’emendamento è inutile – ammettono alcuni deputati leghisti in Transatlantico – Lo abbiamo già fatto tre volte da soli. Una quarta? sarebbe una figuraccia».
La scelta del Carroccio è stata dettata da una raffica di telefonate con i pezzi da novanta dei partiti del centrodestra concentrati sulla spinosa vicenda, da Giovanni Donzelli (FdI) a Maurizio Gasparri (Forza Italia). Il ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli, incaricato dalla Lega di scrivere la norma non ha trovato spiragli: «Non si fa niente senza l’accordo dei leader», il ragionamento degli alleati. A questo serve il time-out: a permettere il vertice che dovrebbe dirimere la querelle. Certo, non sarà facile per Giorgia Meloni concentrarsi sulla vicenda elettorale in mezzo al fragore delle bombe che esplodono non molto distanti da casa nostra. E poco importa se le opposizioni insorgono, pronte a presentare «migliaia» di emendamenti se dovesse arrivare la proposta «inaccettabile» sul terzo mandato, per dirla con il presidente dei senatori del Pd, Francesco Boccia, una mossa che non «rientrava negli accordi»: sul ddl in questione, in effetti, c’era un’intesa con la minoranza, tanto da essere in sede redigente, cioè con un iter accelerato.
Ma il summit s’ha da fare. Oggi la premier torna dal Canada: a conti fatti, il Consiglio dei ministri di venerdì potrebbe essere l’occasione giusta, ma fino a martedì, quando ripartirà per L’Aja per il vertice Nato, ogni giorno è buono. Sulla carta le posizioni sono quelle di sempre, inconciliabili. Matteo Salvini insiste, Antonio Tajani resiste: “La Lega può presentare l’emendamento che vuole, noi non lo votiamo”. In realtà la faccenda è più articolata: il partito di Giorgia sembra disposto a dare una mano al Carroccio sul terzo mandato, ma solo per i governatori non per le città. «Ci sono dei pro e dei contro a togliere il limite dei due mandati, ma allora bisogna mettere mano a contrappesi come maggiori poteri alle assemblee», sottolinea Balboni. Nello stato maggiore forzista qualche ufficiale propenso alla trattativa in cambio del taglio dell’Irpef o, più probabilmente, della candidatura a sindaco di Verona per Flavio Tosi o della promessa di avere un proprio nome per Milano. Si vedrà la settimana prossima. Guerre permettendo.
© Copyright 2025 redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews