“La Ca.Fa. 90 mi fu imposta dal boss Giuseppe Polverino”. Aniello Cesaro, imputato assieme al fratello Raffaele (sono entrambi agli arresti domiciliari) nel processo Pip, lo ha ribadito ieri ai giudici della seconda sezione penale del tribunale Napoli Nord. L’imprenditore di Sant’Antimo, a capo della società che si aggiudicò l’appalto dal Comune di Marano, è stato ascoltato in sede di controesame. La Cafa 90, sequestrata pochi anni fa poiché ritenuta di proprietà del boss Polverino, è l’azienda che ha fornito alla società dei Cesaro il calcestruzzo necessario per la realizzazione del polo industriale. L’interrogatorio di Aniello Cesaro è durato all’incirca due ore ed è stato poi sospeso per un impegno pregresso dell’avvocato Vincenzo Maiello, uno dei difensori dei fratelli del parlamentare Luigi. Durante la deposizione in aula, l’imprenditore – agli arresti domiciliari da oltre un anno – si è soffermato sulla questione dei collaudi (per inquirenti falsificati dai tecnici individuati dai Cesaro) all’interno del Pip, evidenziando in alcuni passaggi la correttezza del loro operato.
L’architetto ha poi raccontato del suo rapporto con l’ingegnere Gennaro Pitocchi, ex dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Marano conosciuto ai tempi dell’affare Texax Instruments di Aversa. Fu Pitocchi a firmare, in una sola giornata (nel 2010), le concessioni amministrative propedeutiche alla realizzazione dei capannoni. Concessioni che erano bloccate da tempo, secondo i Cesaro “per l’ostruzionismo posto in essere dal precedente dirigente dell’ufficio tecnico, Giovanni Micillo”, già tirato in ballo in passato assieme all’ex consigliere regionale Biagio Iacolare e all’ex sindaco Mauro Bertini.
Anche un altro politico del territorio, l’ex sindaco Salvatore Perrotta, è stato citato nuovamente da Aniello Cesaro nel corso del controesame. “Ci diede una mano per la nomina di Pitocchi quando era in divieto di dimora – ha sottolineato l’imputato – Micillo, invece, quando era in carica ci chiese soldi”.
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