Non abbiamo capito perché l’ex Premier goda di continuo a dimettersi e poi ritornare. Ci deve essere qualcosa di freudiano. Fuggire da. L’ha fatto dopo il referendum del 2016 da premier e l’ha fatto da segretario dopo il 4 marzo. Non c’è scritto da nessuna parte che dopo una sconfitta un segretario o un premier si debba dimettere (non si spiegherebbe cosa ci fanno in Parlamento, Franceschini, Fassino, Serracchiani e altri, tutti con all’attivo pesanti sconfitte politiche).
Vorrebbe dire che ha sbagliato le proposte, delle quali non è convinto neppure lui, e quindi occorre cambiare. In quel caso avrebbe ragione d’essere la scelta di Martina di collaborare con i 5 Stelle. Ma visto che Renzi ha ribadito che si riparte dal programma del Pd, non si capisce appunto perché si è dimesso. Soprattutto alla luce di un balletto, giornaliero da un mese, su “lo decide Renzi”, “Renzi guida da dietro il Pd”, “Non si fa nulla senza che Renzi approvi.”
E intanto il partito è disorientato. Oggi il Pd ha sete di una guida solida, con esperienza, determinata, in grado di decidere sul momento, senza movimentare di continuo crocchi assembleari, lunghi e tormentosi confronti tra capannelli di partito. Comportarsi come la Spd in Germania senza essere la Spd è una ricerca di identità, del fai la cosa giusta, chiaramente inopportuna. Non bisogna avere sempre un modello da imitare, perché non è detto sia quello giusto.
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