
La mafia si nutre di se stessa, dei propri comportamenti e dei propri miti. Anche quella «moderna» di Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss stragista rimasto in circolazione, latitante da 25 anni, che continua a muoversi e dettare regole ma sembra inafferrabile. Alimentando una leggenda sfruttata dai suoi luogotenenti o colonnelli che impongono il pizzo, lucrano sugli appalti e accumulano ricchezze nel nome del padrino. Basta sentirli parlare nelle intercettazioni dell’indagine «Anno zero» con cui gli investigatori di polizia, carabinieri e Direzione investigativa antimafia, coordinati dalla Procura di Palermo, hanno «colpito vicino al cuore» Messina Denaro, come dice il procuratore aggiunto Paolo Guido. In carcere sono finiti due cognati del ricercato (quasi tutto ciò che restava in libertà della famiglia) e altre 19 persone in diversi modi collegate a una figura che a sua volta ha potuto usufruire dell’aura di imprendibilità del padre Francesco, morto in latitanza e fatto ritrovare cadavere per la sepoltura. In una conversazione registrata dalle microspie della polizia il 10 marzo scorso, il cinquantacinquenne Vittorio Signorello, sospettato di mafia, parla con Gaspare Como, uno dei cognati arrestati: «Una statua gli devono fare… una statua allo zio Ciccio che vale… padre Pio… ci devono mettere allo zio Ciccio e a quello accanto… quelli sono i santi!». Poi aggiunge, quasi volesse rispondere a eventuali obiezioni, con tono di sfida: «Significa essere colpevole? Arrestami… che fa, non posso dire quello che penso?». E tornando a parlare di Matteo Messina Denaro: «È potuto essere stragista… le cose giuste… mangia e fai mangiare… Arrestatemi, che minchia vuoi? Eh… sino alla morte, come diceva quello…».
Signorello è stato arrestato ieri, ma lui — se sarà coerente con le parole intercettate — resterà fedele al boss che, dopo la morte di Riina, è salito ancora nella graduatoria del potere mafioso. Come un comandante in seconda che si mette alla guida dell’aereo per rimpiazzare il primo pilota. È l’esempio che fa lo stesso Signorello chiacchierando con un imprenditore che pagava il pizzo a Cosa nostra, il quale si augura: «Speriamo che questo prende quota giusta…», e Signorello conferma: «La prende… Che fa, scherzi? È come a Birgi (l’aeroporto di Trapani, ndr), appena se ne va il comandante, c’è quello che sale… che deve fare il comandante… non c’è buccia per nessuno qua… lui è!». Era il 19 novembre 2017, all’indomani della morte di Totò Riina i giornali ne ricordavano le gesta criminali, compreso l’ordine di sequestrare, uccidere e sciogliere nell’acido il figlio del pentito Santino Di Matteo. «Allora ha sciolto quello nell’acido, ha fatto bene», dice Signorello. Replica dell’imprenditore: «Se la stirpe è quella… Suo padre perché ha cantato?». Signorello insiste: «Ha rovinato mezza Palermo quello…», e l’imprenditore (condannato per aver taciuto sulle estorsioni subite, e dunque conosce le regole dell’omertà) dà la colpa al collaboratore di giustizia per la sorte del figlio: «Dico, il bambino è giusto che non si tocca… però aspetta un minuto… perché sennò a due giorni lo poteva sciogliere… settecento giorni sono due anni, tu perché non ritrattavi tutte cose? Se tenevi a tuo figlio… allora sei tu che non ci tenevi». Commento di Signorello: «Giusto! Perfetto! E allora… fuori dai coglioni… Dice “io sono in una zona segreta, sono protetto, non mi possono fare niente”…. Sì, a te… però ricordati, coglione, che una persona la puoi ammazzare una volta, ma la puoi fare soffrire un mare di volte».
Dunque i seguaci di Matteo Messina Denaro la pensano come i mafiosi stragisti di 25 anni fa, e si muovono — secondo la ricostruzione di investigatori e inquirenti — per agevolare gli affari e le mosse dell’ultimo latitante. Il quale continua a comunicare con i classici pizzini. Le microspie hanno intercettato nel 2016 due indagati che ne leggono e strappano uno, lasciando intuire che Messina Denaro è stato da quelle parti, forse passando dalla Calabria: «Ascolta lui… qua non gli ha detto che sta qua… dice che era in Calabria ed è tornato… passa qua… e i cristiani ci vanno…. Nel bigliettino è scritto… Lo vedi? Questo scrive cosa ha deciso…». Tuttavia, forse per motivi di sicurezza, c’è chi resta tagliato fuori da visite e comunicazioni del capomafia. Tanto che un inquisito commenta: «La madre di Matteo… che lui non scrive si lamenta… lui deve scrivere… vorrei vedere a te… non gli interessa niente di nessuno». Ma di se stesso e della sua leggenda mafiosa, probabilmente sì.
Il Corriere