
Camorra e reimpiego di capitali sporchi, la prima cosa che salta agli occhi è la diversità di vedute tra i magistrati inquirenti e il gip (Morra) che non ha ratificato ben 11 richieste di arresto e che si è limitato a disporre la misura cautelare del divieto di dimora al consigliere Gennaro Bove.
Pm e gip in disaccordo su molti punti, insomma. Le due figure chiavi dell’inchiesto sono gli imprenditori Mario Manco, originario di Marano, e Mario Moxedano, il “re” del bingo ed ex presidente del Neapolis Mugnano. Sono loro (entrambi indagati) che avrebbero riciclato soldi del clan Amato-Pagano in alcune attività. Per quel che concerne Manco il ristorante “La luna di miele” di Varcaturo, un maneggio in via Salicelle a Giugliano, la galleria commerciale Ripuaria sempre a Giugliano.
Per Moxedano, invece, il pm riferisce di affari illeciti per le seguenti societi: Maris servizi, General quality service (società che gestisce anche la sala bingo di Mugnano), Dap distribuzione e altre società ubicate a Fuorigrotta e in altri quartieri di Napoli. I pm hanno depositato al gip Morra 46 mila pagine, frutto di intercettazioni ambientali e racconti dei collaboratori Biagio Esposito, Antonio Caiazzo e Carmine Cerrato, alias Tekendo.
Il collaboratore di giustizia Cerrato riferisce agli inquirenti che Mario Moxedano ha “ricevuto da Cesare Pagano due prestiti: uno da due milioni di euro e uno da un milione di euro”, con tasse di interesse mensile dell’uno per cento. Soldi investiti, secondo Cerrato, nel Bingo di Mugnano e in una pista di go-kart situata a ridosso della sala Bingo di Mugnano, anche se inizialmente Moxedano era intenzionato a realizzare un complesso immobiliare con 7-8 palazzi e garage.
Il gip Morra ritiene tuttavia che sia per Manco che per Moxedano, entrambi indagati, le ricostruzioni dei pentiti non siano tali da giustificare la misura della custodia cautelare in carcere. Manco, ad esempio, non viene mai descritto come prestanome degli Amato-Pagano.
Per quel che concerne la dipendente comunale indagata, Vincenza Passarelli, viene iscritta nel registro della procura di Napoli per l’intestazione fittizia di alcuni immobili di via Montale, che sarebbero nelle disponibilità reali di un familiare legato al clan Puca di Sant’Antimo.
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