Omicidio Papale, i pentiti ricostruiscono i fatti in modo differente

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La misura cautelare per il commando dell’omicidio di Antonio Papale (fratello del boss Mario), avvenuto il 10 febbraio del 2007, non lascerebbe adito ad ombre e dubbi. Il capo d’imputazione formulato grazie alle indagini dei carabinieri di Ercolano traccerebbe senza indugi i colpevoli. Così, poi, la sentenza di primo grado di luglio 2015. Al centro della discussione, a distanza di anni, sono ancora  le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Agostino Scarrone, pentito dal 2011 e, Francesco Raimo, dal 2012, a fare notizia. Un incrocio dei verbali trascritti che, secondo le difese degli imputati, del procedimento penale in corso, porterebbe a tutt’altro che certezze. Tuttavia ieri, in udienza con rito abbreviato, nella terza sezione della Corte d’assise d’appello del Tribunale di Napoli, presidente Vincenzo Mastursi, gli avvocati intervenuti (Claudio D’Avino, Giovanni Menna, Domenico Esposito e Luigi Palomba) hanno appunto evidenziato gli elementi contrastanti dei pentiti.

Una chiamata di correità secondo le difese. E cioè si tratterebbe in sostanza di dichiarazioni rilasciate che da sole non sarebbero sufficienti a produrre la certezza processuale dei fatti cui si riferiscono. Elementi non riscontrabili quindi nella realtà.

Tanto per iniziare Salvatore Lo Russo (oggi è pentito) avrebbe partecipato alla riunione nel quartiere di Miano a Napoli in cui sarebbe avvenuta la sentenza a morte di Antonio. Ma il potente boss dei « capitoni » ha sempre negato di aver fatto parte della riunione di caminetto. Sulla versione delle armi. Ci sono dei forti contrasti. Raimo parla di quattro pistole mentre Scarrone dichiara che ne erano di meno. E poi descrivono in modo differente i soggetti a cui furono affidate. Ma ancora. I narranti descrivono  i motorini, che sarebbero serviti al commando, con colori diversi. In sostanza secondo gli avvocati i due collaboratori hanno appreso tutte le notizie, non essendo direttamente presenti al delitto, da altre persone: Stefano Zeno e Lorenzo Fioto.

Rivolgiamo però lo sguardo al passato e mettiamo ordine alla ricostruzione dei fatti. Tra il 2005 e il 2006 venne sancita l’alleanza tra i clan Birra-Iacomino, Gionta, Chierchia « fransuà » e i Lo Russo « capitoni ». Un potente cartello cui ambiva ad espandersi nei traffici illeciti degli stupefacenti, il racket e più in generale nell’economia criminale. E poi per compiere omicidi contro una delle famiglie rivali: gli Ascione-Papale. Il delitto in questione fu la risposta all’omicidio di Giuseppe Infante, genero del ras Giovanni Birra.

Il procuratore generale nella sua requisitoria ha chiesto per Stefano Zeno, Francesco Zavato e Michele Chierchia, trent’anni; Vincenzo Bonavolta (affiliato al clan Lo Russo) sedici anni; Ciro Uliano quattordici anni; Francesco Ruggiero dodici anni; Raffaele Perfetto (famiglia Lo Russo) sedici anni; Michele De Crescenzo dieci anni. Quest’ultimo accusato di aver tentato di uccidere, nello stesso giorno del delitto Papale, Raimo, Fioto, Ruggiero e Scarrone.

Siamo comunque alle battute finali. E proprio alla fine dell’anno, il prossimo 28 dicembre la Corte si chiuderà in camera di consiglio per predisporre il dispositivo di sentenza definitiva.

 

 

© Copyright Mario Conforto, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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