Il silenzio del vescovo di Napoli sul genero del boss della ‘Ndrangheta che collaborava con la facoltà di Teologia e finito sotto inchiesta

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Tre settimane fa una serie di eccellenti arresti in Calabria su una maxi inchiesta sul voto di scambio tra ‘Ndrangheta e mondo politico hanno fatto sobbalzare sulla sedia diversi vescovi e cardinali. La Chiesa è parecchio allarmata poiché in questa retata è coinvolto anche Daniel Barillà, ritenuto dagli inquirenti una figura interessante, essendo il genero del presunto boss Domenico Araniti, “il Duca”.

Barillà (per il quale ora è stato disposto l’obbligo di firma dal Tribunale del Riesame) lavorava come consulente alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, vale a dire l’istituzione universitaria collegata col Vaticano. Il suo contratto di lavoro coordinato e continuativo prevedeva funzioni «nell’area del fundraising, management e nella comunicazione». Naturalmente i vertici della Facoltà Teologica (che ha sede nella diocesi di Napoli) hanno subito preso le distanze e nessuno risulta coinvolto nell’inchiesta, anche se l’arresto iniziale di questa persona di fatto ha allarmando la Chiesa. Barillà nel frattempo è stato sospeso dall’incarico e in seguito il contratto che aveva è stato cancellato.

L’Agenzia cattolica Adista e il blog Messa in Latino hanno rilevato che la linea finora prevalsa dalle autorità è di non dare particolare enfasi alla vicenda, cercando di farla passare in secondo piano, sperando che lo scandalo venga dimenticato.  Nessuno ha finora fornito articolate spiegazioni all’opinione pubblica, e in modo trasparente, su chi abbia chiamato a lavorare in una istituzione tanto prestigiosa Barillà, se sono state fatte le opportune verifiche prima di stendere il contratto, quali referenze sono state date da chi lo ha presentato.

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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