Due anni fa la morte di Carlo Palermo, il prof che lottò per salvare il patrimonio architettonico e artistico di Marano. Quell’ultima intervista concessa al nostro giornale

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Due anni fa, proprio di questi tempi (era il 2 febbraio del 2019), ci lasciava il professor Carlo Palermo. Una persona ricca di interessi, un vulcano di idee, un un inguaribile ottimista che, a dispetto dei suoi 73 anni, continuava a lanciarsi nelle più disparate iniziative tese a difendere il patrimonio artistico e architettonico di un comune, quello di Marano, devastato dal mattone selvaggio e da quello “legale”.
La sua morte suscitò profonda commozione tra i cittadini di Marano e in noi, giornalisti e appassionati delle vicende del territorio, che abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo. Meritava ben altra considerazione in vita. I politici del territorio non seppero cogliere tante occasioni, tra cui quella di nominarlo assessore alla cultura. Era dispiaciuto e amareggiato negli ultimi tempi e spesso si confidava con il sottoscritto. Aveva scritto a tutti, aveva girato in lungo e in largo gli uffici comunali, quelli della Curia di Pozzuoli e della Soprintendenza, ottenendo troppo spesso, sulla questione dell’eremo di Pietraspaccata (ormai immerso nel degrado), mezze risposte, false promesse.
Carlo Palermo era una persona perbene, un uomo testardo, ma leale. Un signore d’altri tempi. Pochi mesi prima di morire, ci rilasciò una bella intervista che desideriamo riproporre per tenere vivo il suo ricordo a due anni dalla improvvisa e prematura scomparsa.
Ecco cosa ci disse due anni fa quando lo intervistammo.
“Sono nato a Milano. I miei genitori, entrambi meridionali, lavoravano presso il Ministero della Guerra. Crollato il regime fascista, furono costretti a scappare. Furono salvati da un partigiano e si rifugiarono prima a Roma e poi a Napoli. La mia adolescenza l’ho trascorsa tra i vicoli di Napoli, prima di studiare fisica nucleare e dedicarmi all’insegnamento. Negli anni Ottanta entrai in servizio all’istituto Darmon, una scuola al confine tra Marano e Napoli. Insegnavo a ragazzi poliomelitici e distrofici, molti dei quali morivano in tenera età.
All’epoca – racconta Palermo – i metodi di insegnamento erano ancorati ai vecchi schemi, ma quella scuola, ben presto, divenne all’avanguardia perché fummo i primi a coinvolgere i ragazzi in attività di laboratorio e teatrali. Decisi di allestire un vero e proprio teatro in una sala abbandonata della scuola, utilizzando tra l’altro del materiale di risulta. L’idea piacque e anche l’atteggiamento degli alunni, fino a quel momento quasi avulsi dal contesto scolastico, cambiò radicalmente: tutti si appassionarono a quelle sperimentazioni e tutti ne trassero giovamento. Il tema della disabilità, per la prima volta in Campania, fu affrontato in una chiave diversa. Recitammo persino al Cilea e per molti anni fummo un modello per tutta la Regione”.
Non solo attività teatrali e laboratori di fotografia, musica, danza e giornalismo, ma anche interesse per un territorio, quello a ridosso della collina dei Camaldoli, ricco di storia, reperti ma devastato in quegli anni dal mattone selvaggio. Nel 1991 la scoperta che ha cambiato la vita al professor Palermo.
“Un amico, Lello Gagliardi, appassionato di storia locale, mi propose di realizzare una scultura. Nello specifico si trattava del rifacimento della statua della Madonna col bambino, trafugata dalla chiesa di Pietraspaccata. Mi recai sul posto, nel cuore della selva di Foragnano, e rimasi folgorato: l’eremo semi rupestre era in gran parte coperto dalla vegetazione. I rami degli alberi e le radici si spingevano fin dentro alle stanze un tempo occupate dai frati eremiti. Realizzai la scultura che mi era stata commissionata, ma pensai che si dovesse fare molto di più per quel luogo. Così decisi di informare la Curia di Pozzuoli, anche per incentivare la ripresa delle funzioni religiose. Costituì nel frattempo un gruppo di volontari e in tre anni e mezzo, armati di sole mani, rimuovemmo tutto il materiale che ricopriva l’antico eremo”.
Quello che Palermo e i tanti volontari riuscirono a portare alla luce ha del sensazionale: “Scoprimmo reperti risalenti al I secolo Avanti Cristo, affreschi in stile giottesco, ambienti scavati nella grotta, antichissime iscrizioni marmorie, maioliche del 1700 e persino reperti del neolitico. Tracce evidenti, insomma, di insediamenti primitivi e della presenza di frati provenienti dall’Africa e dall’Oriente che in quella struttura avevano per secoli dimorato”.
La notizia dei ritrovamenti si diffuse in fretta e in breve tempo la chiesa e il contiguo eremo Pietraspaccata divennero meta di studiosi, appassionati di storia e scolaresche.
“Allertammo la Soprintendenza, coinvolgemmo la Curia di Pozzuoli, ritenuta da tutti proprietaria del complesso monumentale – aggiunge ancora Palermo – i contadini del posto e numerose scolaresche. Realizzammo anche un documentario, selezionato e premiato in Inghilterra, a Canterbury, nel corso di un prestigioso evento internazionale al quale fummo invitati. Fu un’occasione unica, purtroppo non sfruttata al meglio dalle amministrazioni comunali che si susseguirono in quegli anni. Non tutti furono felici di quei movimenti attorno all’eremo. Ho ragione di credere che in quella zona vi fossero e via siano, ancora oggi, mire speculative”, dice con amarezza Palermo.
La passione per il territorio, ad ogni modo, non si esaurì con l’interesse per l’eremo di Pietraspaccata, da qualche anno a rischio crollo e dimenticato dai vari enti che negli anni Novanta si erano ripromessi di salvaguardarlo. Palermo, infatti, approfondì i suoi studi e si interessò ad altri reperti, in primis a quelli rinvenuti i nella zona di Vallesana, un’area di straordinaria importanza archeologica, ai tre castelli ubicati sul territorio di Marano (Torre Caracciolo, Castello Monteleone e Castello Scilla), ai misteri che aleggiano sulle grotte e i cunicoli della città, alla “vecchia” chiesa di San Castrese, patrono della città, e ai ritrovamenti frutto degli scavi eseguiti a Mugnano.
“A Mugnano ci imbattemmo in un vasto complesso archeologico – spiega Palermo – ma il tutto fu inspiegabilmente totalmente trascurato dalla Soprintendenza. Lottai, insieme ad altri studiosi, affinché la zona fosse tutelata nel suo complesso. C’era l’idea di realizzare un museo, dove poter custodire i reperti: le tracce dell’insediamento abitativo etrusco, gli scheletri intatti, le anfore, le tombe e quant’altro. Alla fine fummo costretti a capitolare: in quel luogo si decise infatti di costruire una scuola e molti di quei reperti andarono perduti, distrutti da una pala meccanica”.
Intervista a cura di Fernando Bocchetti
© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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