Tumore incurabile annientato con il caldo. Il caso dell’anziano guarito in 24 ore

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Il paziente entrato in sala operatoria ha ottant’anni. È pronto, si corica sul lettino. Stende le gambe, la schiena è un po’ indolenzita, il dolore all’addome si fa sentire a tratti. Imputa i suoi mali all’età, come fanno sempre gli anziani. Non fa troppe domande ai medici e non le fa nemmeno a se stesso. Della sua malattia qualcosa ha capito, ma non tutto. Qualcos’altro se l’è dimenticato perché le parole, soprattutto quelle più dure, alla sua età si dileguano chissà dove, non si sedimentano in testa.

Fuori, in sala d’ attesa, i famigliari aspettano a braccia conserte e piedi tamburellanti sul pavimento liscio. Non si può stare sereni quando il paziente ha una certa età. Il corridoio è quello di un ospedale. I medici fanno avanti e indietro, le infermiere trascinano carrelli di medicine e flebo. I colori sempre uguali e il silenzio è interrotto solo da poche chiacchiere che si trascinano di orecchio in orecchio. Siamo presso l’Unità operativa di Epatologia dell’Ospedale “Madre Teresa di Calcutta” di Monselice, in provincia di Padova.

Ma c’è dell’altro. Il quadro clinico in bilico, le malattie pregresse, il cuore zoppicante. Il signore non era solo anziano, veniva fuori da una storia clinica complicata. Soffriva di una cardiopatia e di episodi di scompenso. Un anno fa poi aveva contratto una epatopatia cronica HCV ed era stato sottoposto a una terapia con nuovi farmaci che avevano permesso l’ eradicazione del virus. Da qui i controlli semestrali per tenere d’ occhio il fegato. Il rischio di contrarre un cancro proprio in quell’organo indebolito era alto. E così è stato.

Una tac di routine ha fotografato quell’agglomerato di piccole cellule malate attaccate al fegato e poi l’ altra lesione al rene. Non gli erano state date troppe speranze. Anche perché un corpo così delicato non poteva essere toccato da forbici e bisturi.
Un intervento chirurgico sarebbe stato rischioso. La pelle ruvida dell’anziano, il cuore affaticato, le condizioni precarie potevano precipitare subito dopo la sola anestesia. «L’unica strada percorribile in un paziente inoperabile chirurgicamente è la termoablazione», spiega il dottor Mauro Mazzucco, primario di Epatologia dell’ ospedale. Termoablazione: un termine certamente poco conosciuto.

ALTA TEMPERATURA – In realtà si tratta di una tecnica rodata, che esiste da vent’anni. «Un intervento, cioè, dove non viene utilizzato un bisturi, ma un ago che attraversa la pelle del paziente (via percutanea) fino a raggiungere la zona malata, uccidendo le cellule tumorali mediante il calore che raggiunge una temperatura di 150°», aggiunge il medico che ha diretto l’ operazione. Al tavolo operatorio Mazzucco è stato affiancato da un anestesista e da due infermieri. I due tumori del paziente sono stati spazzati via dal calore.

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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