Gentile dottore, sono un uomo di 40 anni, sposato e con un bimbo di 10 anni. Le scrivo perché vorrei liberarmi di un’ ansia che arriva a togliermi il respiro, che mi fa star male e che con cui convivo da tempo con grande difficoltà. Sono rimasto orfano di padre da adolescente e da allora sono comparsi sintomi di paure immotivate, ansie e blocchi di coscienza. Per avere una vita normale ho fatto continui sforzi, e sono riuscito a lavorare e a costruire una famiglia, ma la mia malattia non mi ha mai lasciato in pace. Prendo farmaci da diversi anni, ma ormai penso che nemmeno più questi mi fanno effetto. Due giorni fa ho avuto un attacco di panico violentissimo, mentre ero in auto, e ho dovuto fermarmi, tutto mi girava intorno e sentivo il cuore in gola: ho pensato di morire. In alcuni momenti sembra che i miei familiari non mi sopportino più, e io stesso non mi riconosco in quest’uomo fragile, distrutto dalla propria emotività.
Paolo (Portici)
La mitologia greca ci aiuta a riflettere sull’origine del panico, termine che deriva da Pan, divinità greca, per metà uomo e metà caprone, capace di suscitare improvviso terrore e paura incontrollabile per l’animo umano. Bisogna chiarire che c’è differenza tra l’ansia (di cui fa parte l’attacco di panico) e la paura. L’ansia (associata fenomenologicamente all’angoscia) non ha un volto attraverso cui può essere riconosciuta, mentre la paura è sovente associata a qualcosa di concreto. Se non ha un volto, da cosa si deve difendere la persona? Essa compare all’improvviso, obbliga il soggetto a una costrizione ingovernabile, dove il senso di smarrimento domina l’agire del soggetto. Un corpo che fa sentire prigioniero al suo interno e dal quale si vorrebbe scappare, perché in pericolo di morte e in preda alla follia.
I sintomi si conoscono e se ne parla in maniera descrittiva, da più punti di vista, incorrendo spesso nella banalizzazione e nella oggettivazione della sofferenza, come se fosse uguale per tutti. Se si prova a immaginare l’ eruzione di un vulcano, non si può pensare di fermarla chiudendo la bocca di esso; come non è solo la via farmacologica deputata a far fronte a questo disturbo, la cui origine risiede nella storia della vita dell’individuo. L’esperienza di morte, sia vissuta direttamente attraverso un evento, sia come concetto non elaborato, accompagna attraverso sagome inquietanti l’ansia e il panico che, quando irrompono, mettono la persona in fuga, abbandonando tutto, per ricercare un posto dove si può sentire al sicuro ( di solito un pronto soccorso).
Una sofferenza, quella legata all’ansia, che passa attraverso la via esistenziale e che dovrebbe portare la persona a confrontarsi con essa, più che fuggire. Purtroppo i tempi attuali ci portano via da noi stessi, dal confronto introspettivo con le nostre parti più profonde, quelle che danno vita alla nostra essenza, a vantaggio della ricerca di un godimento compulsivo, dove si vive la dimensione in-autentica della persona a caccia di rifugi. Lontano quindi dalla propria autenticità, come trasportati da un magma che nel suo fluire porta via desideri ed emozioni, che diventano visibili da lontano, come resti di cenere che la lava, nel suo scorrere, lascia.
Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta
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