Il rapporto di Angelo Simeoli con il clan Polverino. Il portato dichiarativo dei collaboratori di giustizia. Ricordiamo, per dovere di cronaca, che in questo procedimento (primo grado) Simeoli Angelo è stato condannato per corruzione e non per associazione mafiosa o concorso esterno.
Le parole di Roberto Perrone, collaboratore di giustizia.
La figura di Simeoli Angelo è ampiamente descritta da un numero considerevole di
collaboratori di giustizia escussi nel presente dibattimento.
Innanzitutto, va evidenziato che Simeoli Angelo è il fratello di Simeoli Mattia,
personaggio di spicco della famiglia Nuvoletta, prima, e del clan Polverino dopo, così come è emerso dalle sentenze di cui si è già dato conto e come più volte rimarcato dai collaboratori escussi.
Si rammenta che a pag. 317 della più volte citata sentenza irrevocabile n. 19800/2016 la
figura di Simeoli Mattia viene efficacemente sintetizzata evidenziando che egli veniva
condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis nel procedimento penale n. 6431/19/89 R.G. Trib.
Napoli con sentenza del 22 gennaio 1992 e, in particolare, si legge “Mattia Simeoli (nato a
Marano di Napoli il 10.2.1939 e deceduto il 4.2.05 ), cugino di Simeoli Antonio, e stato un membro di rilievo del clan Nuvoletta (come affermato dai collaboratori di giustizia Perrone,
Cataldo, Tipaldi) ed è stato anche condannato per art. 416 bis c.p. in primo grado nel
procedimento N. 6431/19/89 R.G. Trib. Napoli con sentenza del 22.1.92, proprio per la sua
partecipazione al predetto gruppo criminale. Tra l’altro nella sentenza della Corte di Appello di Napoli del 7.4.2000, irrevocabile il 21.2.2001 si dà atto che l’imprenditore Carputo Francesco aveva riferito di essere stato sottoposto ad estorsione da Mattia Simeoli per conto del clan Nuvoletta e successivamente, a partire dagli inizi degli anni Novanta, era stato poi costretto a
pagare una tangente a Polverino Giuseppe, che era subentrato ai Nuvoletta. Orbene Mattia
Simeoli era il cugino di Antonio Simeoli ed è stata la persona che, secondo diversi
collaboratori come Perrone, Cataldo, Speranza ed Izzo, aveva consentito al Simeoli
Antonio ed al Simeoli Angelo di divenire gli imprenditori di fiducia prima dei Nuvoletta e
poi dei Polverino”.
Invero, tutti i dichiaranti riconducibili all’area Polverino hanno descritto il rapporto
tra Simeoli Angelo detto Bastone e Polverino Giuseppe; così Tipaldi Massimo, Perrone
Roberto e Di Lanno Biagio, soggetti dall’importante spessore criminale inseriti nel sodalizio
camorristico facente capo a Polverino Giuseppe ma anche Simioli Giuseppe e Ruggiero
Giuseppe, collaboratori di giustizia sentiti nell’odierno dibattimento ai sensi degli artt.
523 e 507 c.p.p., che hanno assunto un ruolo di sicuro rilievo accanto al capoclan Polverino
Giuseppe; analogamente, anche Izzo Salvatore e Verde Antimo hanno descritto il peso
criminale di Simeoli Angelo, quale imprenditore del Clan Polverino.
Ulteriori elementi istruttori vanno rinvenuti nel contributo offerto dai collaboratori relativi
all’area casalese, tra i quali assumono un peso significativo Bidognetti Raffaele e Schiavone
Nicola, soggetti di vertice del Clan dei Casalesi che, proprio in considerazione del ruolo apicale svolto, hanno descritto le occasioni in cui hanno avuto modo di relazionarsi con Simeoli Angelo nelle attività che lo interessavano. Vicende che hanno trovato riscontro estrinseco sia pure parziale nel contributo offerto da Vassallo Gaetano, Guida Luigi, Di Caterino Emilio, Spagnuolo Oreste.
Preliminarmente, va osservato che non vi è motivo di dubitare della credibilità soggettiva
dei dichiaranti e della attendibilità intrinseca del narrato come ampiamente rappresentato nelle pagine che precedono, a cui si fa espresso ed integrale rinvio.
Nell’ambito della presente disamina si affronterà, dunque, la valutazione del narrato
offerto dai collaboratori sotto il profilo estrinseco, verificando la sussistenza di riscontri
individualizzanti, onde analizzare l’attività svolta da Simeoli Angelo ed il rapporto che egli aveva con il Clan Polverino e le modalità operative che poneva in essere, onde verificare le modalità del suo intervento nelle vicende per cui è processo e la sussumibilità della condotta nel delitto a lui contestato in concorso con Bertini Mauro, senza tralasciare il ruolo determinante nella ricostruzione dei rapporti con gli altri imputati onde verificare la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/1991 e del concorso esterno contestato a Bertini Mauro e Santelia Armando.
Riferiva ancora che, prima che venisse arrestato, Allegro Fabio gli aveva riferito anche
che questa proprietà di Simeoli Angelo era stata utilizzata come base sicura per effettuare degli scarichi di hashish ed armi. Proprio per questo Perrone aveva deciso di incontrarsi con
Beneduce, Gennaro Longobardi e Caiazzo in questa tenuta.
Durante il controesame della difesa Perrone tornava a ribadire che “Angelo Simeoli era
il nostro imprenditore su Marano ed era come una catena di sant’Antonio”, volendo
significare che gli utili percepiti da un investimento venivano reinvestiti nel successivo,
precisando che non si trattava di un solo cantiere ma di decine di cantieri aperti anche
contemporaneamente. Ribadiva che anche egli stesso aveva investito nei cantieri.
Nell’ambito del processo c.d. madre il collaboratore non affrontava in particolare la
posizione di Simeoli Angelo, ma lo indicava come uno degli imprenditori del clan insieme con Antonio Simeoli detto Ciaulone.
Sentito all’udienza del 15/04/2021 nell’ambito dell’odierno processo, Perrone
Roberto veniva sentito in controesame dalle difese e dal P.M., essendo stati acquisiti con il
consenso delle parti i verbali delle dichiarazioni già in precedenza rese, appena sunteggiate.
Il Collaboratore, nel ribadire quanto già riferito, andava a puntualizzare taluni aspetti
relativi ai rapporti degli odierni imputati rispetto al clan Polverino.
In particolare, definiva Simeoli Angelo un imprenditore protetto da Giuseppe
Polverino, perché nessuno poteva avvicinarsi ad Angelo Simeoli, oppure andare su un cantiere o su un ufficio perché non poteva essere oggetto di attenzione delle forze dell’ordine. Infatti, su domanda della difesa dell’imputato affermava “a Marano erano due gli imprenditori, Angelo Simeoli detto Bastone e Antonio Simeoli detto Ciaulone, che il Clan aveva avuto ordine dal Polverino di non avvicinarsi mai, nessun pregiudicato di noi, andare su un cantiere di Angelo Bastone, Angelo Simeoli, o Antonio, nemmeno a sfiorarli, perché la nostra presenza in un cantiere, o su un ufficio, poteva dare sospetti alle forze dell’ordine e fare… cioè erano dei protetti che nessuno poteva… perché avevano il filo… il contatto principale, non dovevano bussare, non dovevano prendere appuntamenti, ma si potevano
presentare al cospetto di Totonno Polverino, oppure da Giuseppe Polverino, quando era
libero”.
In particolare, ribadiva con decisione che tra Polverino e Simeoli esisteva una
società e che i due facevano i loro conti tra loro, ma che poi veniva comunque pagata
l’estorsione al clan. Su insistenza del difensore, infatti, precisava “il Polverino e il Simeoli avevano insieme, era una cosa loro, la società loro, che erano conteggi che facevano loro. Per quanto riguarda il fatto delle estorsioni, il Clan, Polverino Antonio e sia Polverino Giuseppe, le estorsioni sui fabbricati, sugli investimenti, su quello che edificavano su Marano e d’intorni, era una cosa che decidevano loro e noi, il Clan, quando dovevamo andare a Pasqua o a Natale, era Zio Totonno
polverino che diceva: “Qua ci stanno i soldi di Bastone per quanto riguarda Palazzo
Merolla, il lavoro che sta a fare Quarantotto, la cooperativa”, erano dei soldi che metteva lui in cassa. Ora, erano soldi della loro società che mettevano là. Non ci potevamo avvicinare
a chiedere l’estorsione perché non volevano. Il Clan, Zio Totonno Polverino, Giuseppe
Polverino, non volevano che noi ci avvicinassimo agli imprenditori delle loro società”. Ancora al difensore che gli chiedeva “Lei e Polverino Giuseppe pagavate una quota a titolo di tangente estorsiva in favore del vostro Clan?”, il Collaboratore rispondeva “la domanda sembra strana, però anche io, che faccio parte del Clan, nel mio privato facevamo le cose
imprenditoriali, io e Giuseppe Polverino, in società, ne abbiamo fatte tantissime, e avevamo
i nostri guadagni per quanto riguarda la società e era normale che noi versassimo, sempre
nelle nostre casse, anche il titolo estorsivo, che pagavamo anche noi, paradossale, ma lo
pagavamo anche noi del Clan”.
La vicenda di Salvatore Ruggiero, il “Pellerossa”, raccontata sempre da Perrone.
Riferiva poi di un’altra proprietà di Don Angelo Simeoli e precisamente della Tenuta in
Giugliano in Campania alla via Grotta dell’Olmo, messa a disposizione dal Simeoli per lo
svolgimento di alcune riunioni con affiliati, quali Allegro Fabio, Cerullo Sabatino, Cammarota
Salvatore, Nappi Carlo ma anche con Sabatino Granata imprenditore del clan Mallardo,
Beneduce Gaetano di Pozzuoli, Tonino Caiazzo del Vomero e Cimmino Luigi.
Raccontava anche un aneddoto particolare, avvenuto nel 2009/2010, quando veniva
arrestato Allegro Fabio, momento in cui si temeva la possibilità che l’Allegro iniziasse a
collaborare con la giustizia; per evitare che potessero trovare riscontro eventuali dichiarazioni sull’omicidio di Salvatore Ruggiero, fratello di Donato Ruggiero detto o pellerossa, Perrone si impegnava a recuperare un escavatore per dissotterrare il cadavere seppellito nella tenuta di Simeoli Angelo. A tal fine Perrone dichiarava di aver incaricato Simeoli Salvatore detto o sciacallo, che svolgeva tale compito. Riferiva ancora che, prima che venisse arrestato, Allegro Fabio gli aveva riferito anche che questa proprietà di Simeoli Angelo era stata utilizzata come base sicura per effettuare degli scarichi di hashish ed armi. Proprio per questo Perrone aveva deciso di incontrarsi con
Beneduce, Gennaro Longobardi e Caiazzo in questa tenuta.
Le dichiarazioni di Giuseppe Simioli, collaboratore di giustizia.
Il narrato offerto da Perrone Roberto ha trovato significativo riscontro estrinseco nelle
dichiarazioni rese da Simioli Giuseppe all’udienza del 4/04/2024, quando veniva sentito ai
sensi dell’art. 507 c.p.p. e, richiesto di dire se conoscesse Simeoli Angelo, affermava subito di conoscere un imprenditore detto Bastone diciamo, un imprenditore diciamo di Marano un
grande imprenditore che si occupava di costruzioni maggiormente, con il quale aveva avuto dei rapporti, visto che erano parenti alla lontano, affermando di aver avuto “molti molti rapporti sia tramite diciamo a causa di Giuseppe Polverino che lui stava in società con Giuseppe Polverino”, esprimendosi, quindi, esattamente negli stessi termini utilizzati da Perrone Roberto.
Il collaboratore spiegava cosa significasse l’espressione essere in società, affermando:
“le costruzioni le faceva insieme a Giuseppe Polverino ed Antonio Polverino”, “che
compravano acquistavano terreni e poi facevano le case le operazioni Ma da anni …
dagli anni Novanta”. Sollecitato a spiegare come fosse a conoscenza di tali circostanze riferiva “lo so perchè direttamente sono andato decine e decine di volte a portare imbasciate di Giuseppe Polverino per cose di costruzioni a loro”… “poi si incontravano anche loro qualche volta in mia presenza” … “Angelo Simeoli, Giuseppe Polverino, Antonio Polverino, Salvatore Polverino detto Toratto diciamo stavano”.
Si trattava di imbasciate relative alle costruzioni, ai soldi, ai pagamenti che doveva avere
Giuseppe Polverino ed affermava “capitava che Giuseppe Polverino doveva ricevere qualche
pagamento diciamo e a volte capitato qualche volta che sono andato a ritirarlo io a dirgli ha
detto Peppe preparate per esempio questi 500 mila euro per questa data per farglieli dare”.
Incalzato dal Presidente del Collegio a chiarire a che titolo prendesse il denaro e se le
imbasciate fossero relative alla necessità di mettersi a posto, il Collaboratore rispondeva: “no mettiti a posto, ha detto Peppe che gli devi mandare per esempio questi soldi per questo quell’operazione che tu gli devi dare questi soldi questo palazzo diciamo che stavano
facendo”. Invitato a spiegare che tipo di società fosse, egli affermava “occulta, era giustamente erano loro che mettevano perchè Giuseppe Polverino essendo che era il capo di Marano diciamo del clan di Marano aveva una serie di imprenditori giustamente con lui stavano in società che quando questi imprenditori dovevano fare delle costruzioni giustamente stavano automaticamente in società con lui”.
Evidenziava che egli non poteva conoscere tutte le operazioni commerciali che Polverino
Giuseppe aveva intrattenuto con Simeoli Angelo, perché molte volte quello si vedevano anche fra di loro diciamo essendo che Giuseppe Polverino era latitante le sue cose gliele gestiva suo cugino sarebbe Antonio, Salvatore Polverino detto Toratto figlio di Antonio Polverino che era diciamo lo zio di Giuseppe Polverino che stavano in società loro sia con Angelo Simeoli e sia con altri imprenditori”. Precisava ancora che si tratta di vicende che egli aveva vissuto frequentemente e per un
lungo periodo di tempo (sono 30 anni che le ho vissute per 30 anni signor Presidente), avendo incontrato personalmente Angelo Simeoli centinaia di volte, molte volte o a casa sua sono andato o al suo ristorante Villa Borghese, incontrandoli anche insieme, quando Angelo Simeoli incontrava Giuseppe Polverino in qualche posto che era latitante Giuseppe
Polverino… varie volte o sulla zona di San Marco o sulla zona dei Camaldoli a casa per
esempio nelle campagne perchè nelle zone nostre ci stanno molte campagne, ma si
incontravano sempre per parlare di affari”.
Incalzato dal difensore di Simeoli Angelo che domandava: “lei poc’anzi ha fatto
riferimento a rapporti imprenditoriali tra Giuseppe Polverino ed Angelo Simeoli. Quando lei parla di società, intende lo stesso tipo di accordo a cui ha fatto riferimento anche per i Cesaro?”, il collaboratore rispondeva “cioè ogni lavoro loro stabilivano la loro società, mò io non lo so a termini di percentuali in che termini, facevano ogni lavoro, se era… Non è che era una tassa che dicevano ogni lavoro mi dovete dare in tot per cento oppure il 50 per cento o il 30 o il 70, ogni lavoro penso che si stabilivano le quote in base al lavoro, in base alle dinamiche”, puntualizzando “dipende se il terreno… se il terreno… se il terreno… Mi scusi, se il terreno era di Giuseppe Polverino, acquistato lui, e chiamava l’imprenditore per farglielo costruire, sicuramente la percentuale era maggiore, se invece l’imprenditore aveva trovato lui il terreno per costruire, l’operazione era sua, sicuramente pretendeva una percentuale maggiore in confronto… giustamente perché l’operazione l’aveva portata lui”.
Sollecitato a rammentare gli investimenti nei quali Polverino aveva intrattenuto un
accordo societario con Simeoli, Simioli rispondeva “quello che vi posso dire, quando sono
uscito dal carcere nel 2008 stava… in via Galeota stava un’operazione che stavano delle
costruzioni, che poi fu anche sequestrata, per vario tempo è stata sequestrata”.
Su domanda del difensore affermava di essere certo di ciò, perché “ne abbiamo parlato
cento volte che Giuseppe Polverino aveva investito… gli aveva dato un milione di euro per
iniziare quella… nel 2007/2008, quando sono uscito… nel 2009, quando sono uscito dal
carcere, ero uscito da poco, gli aveva dato…”.
Proseguendo rammentava: “ci sta anche diciamo il Lago Patria, che là hanno costruito,
si sono incontrati varie volte nella costruzione del Lago Patria”.
Ribadiva ancora una volta “vi dico molto chiaramente che quando Giuseppe Polverino
doveva parlare con gli imprenditori, gli imprenditori… veniva l’imprenditore, ci salutavamo,
poi iniziava… si iniziava a parlare, poi giustamente se eravamo tre, quattro, cinque di noi che stavamo là, ci spostavamo tutti quanti, perché non è che si metteva a parlare, che Peppe Polverino doveva parlare di affari con l’imprenditore, di società sue, che noi ci potevamo permettere, per educazione e per tutto, di metterci per esempio a parlare… a sentire certe cose, ci allontanavamo giustamente”.
È di lapalissiana evidenza come tale circostanza venga narrata esattamente nello
stesso modo in cui è stata riferito da Perrone.
Sulle domande del P.M. in udienza affermava “le voglio dire che stavano due tipi
diciamo, stava quello là che… un imprenditore che veniva a costruire, diciamo che stava…ecco, quello era Cerullo Sabatino che si interessava delle estorsioni, aveva un gruppo di
ragazzi che andavano a fermare il cantiere, gli chiedevano giustamente… vedevano l’importo del lavoro, gli chiedevano i soldi e quelli giustamente cacciavano la rata. Poi c’era un altro tipo, c’erano gli imprenditori giustamente collusi con Giuseppe Polverino, che facevano la società e quindi non erano estorsioni, erano collusi”.
Ancora il pentito Simioli.
Anche in questo caso Simioli Giuseppe distingue il diverso rapporto che gli
imprenditori instauravano con il clan esattamente come ricostruito da Perrone Roberto.
All’udienza del 15/04/2024 veniva sentito ai sensi dell’art. 507 c.p.p. Ruggiero
Giuseppe e richiesto di dire se conoscesse Simeoli Angelo affermava subito “un imprenditore di Marano, lui dove abitavo io ci aveva lo studio sopra casa mia, lo conosco molto bene al Simeoli Angelo”, precisando di aver avuto rapporti con Simeoli Angelo già negli anni Novanta, quando ha fatto il Parco Simeoli a Qualiano. In particolare, affermava “io sono stato indicato da Giuseppe Polverino di recarmi a Qualiano da Nicola Pianese, il clan Pianese … a portargli dei soldi mi sembra a Qualiano per il Parco Simeoli sito a Qualiano, l’estorsione a Nicola Pianese, precisando che la somma ammontava a 100 milioni di lire e “io personalmente … li ho presi da Angelo Simeoli e portati a Nicola Pianese a Qualiano”.
Ancora più puntualmente riferiva che Giuseppe Polverino gli aveva riferito di andare da Angelo Simeoli per andare da Nicola Pianese, perché Polverino era socio con Simeoli Angelo in questa operazione e ancora precisava di aver appreso direttamente da Polverino i dettagli dell’operazione (“perché me l’ha detto Giuseppe Polverino questa cosa, no, noi nel clan sapevamo tutti, chi era vicinanza a Giuseppe Polverino sapevano queste cose.”).
Riferiva che negli anni successivi più volte aveva avuto notizia di rapporti di Simeoli
Angelo con Polverino Giuseppe, intermediati da Simioli Giuseppe e Cerullo Sabatino (“me
questo qua a Qualiano è la prima volta, poi altre volte Simeoli Angelo ci doveva dare dei soldi a Polverino, era nel 2010, e Polverino si arrabbiava con Cerullo Sabatino e con Giuseppe Simioli, che si dovevano recare a casa di Angelo perché ci doveva dare dei soldi a lui. E la somma non lo so di quanto era, penso una somma grande, perché Simeoli tardava a dare dei soldi a Polverino. … Poi è intervenuto Giuseppe Simioli, si è e messo d’accordo con Simeoli e ci ha dato… un po’ alla volta ci ha dato questa somma di denaro”).
Conclusioni.
Tutte le dichiarazioni, dianzi riportate consentono di confermare il positivo giudizio già
espresso nei paragrafi introduttivi, in quanto risulta vieppiù evidente la linearità, logicità e la intrinseca coerenza del narrato, che, con riferimento all’esame di Perrone, ha resistito anche al controesame delle difese, atteso che come puntualmente precisato durante l’illustrazione delle dichiarazioni rese, Perrone Roberto ha saputo chiarire, specificare e puntualizzare le sue dichiarazioni. Sotto tale profilo va evidenziato che Simioli Giuseppe e Ruggiero Giuseppe rendevano in dibattimento, e, dunque, nel contraddittorio delle parti, le prime dichiarazioni rese su Simeoli Angelo, offrendo un narrato univoco, chiaro e preciso, ampliandolo e specificandolo in relazione alle domande poste dalle diverse parti processuali. Proprio la modalità con la quale venivano esaminati rende ancora più evidente il positivo giudizio espresso sulla intrinseca attendibilità, atteso che non sono identificabili contraddizioni ed illogicità, per vero neanche eccepite dalle
difese nelle rispettive discussioni.
Le dichiarazioni rese da Perrone Roberto, Simioli Giuseppe e Ruggiero Giuseppe vanno
qualificate come chiamate in correità dirette, che si riscontrano estrinsecamente in maniera
individualizzante e consentono, dunque, di ritenere univocamente e definitivamente
acclarato che Polverino Giuseppe fosse in società con Simeoli Angelo e che i due
avessero una frequentazione costante, percepita direttamente dai colonnelli di Giuseppe
Polverino, che addirittura venivano allontanati all’arrivo di questo personaggio, non essendo
ammessi a conoscere direttamente il tenore degli accordi e l’entità dei guadagni. D’altro canto, è univocamente dimostrato che Simeoli Angelo versava i proventi delle attività direttamente alla cassa del clan, conferendo il denaro direttamente a Giuseppe Polverino ovvero ad un altro affiliato, Cerullo Sabatino, che li consegnava a Ruggiero Giuseppe che, essendo il cassiere, aveva contezza diretta di tale circostanza.
Il Tribunale non ha ritenuto che vi fosse alcuna contraddizione intrinseca nel narrato di
ciascuno dei tre collaboratori che, da un lato, hanno affermato con decisione che Polverino
Giuseppe e Angelo Simeoli fossero in società e, dall’altro, hanno fatto riferimento al versamento dell’estorsione. Orbene, proprio la dichiarazione resa da Perrone Roberto offre in sé il chiarimento della presunta contraddizione, tenuto conto che lo stesso Perrone dichiarava di versare egli stesso l’estorsione al clan per le speculazioni edilizie che realizzava, facendo riferimento alla necessità di finanziare un clan costituito da numerose persone per evitare invidie e gelosie e mantenere così il ruolo apicale. Anche Simioli Giuseppe evidenzia durante il suo esame che chi pagava l’estorsione non doveva mettersi a posto e ancora Ruggiero Giuseppe, in quanto cassiere del clan, aveva appreso direttamente da Polverino le diverse modalità di gestione del rapporto con gli imprenditori.
Il Tribunale ha, dunque, ritenuto che i dichiaranti con riferimento a Simeoli Angelo non
abbiano inteso usare il termine estorsione in maniera tecnica, bensì abbiano fatto riferimento al versamento della somma di denaro dovuta per finanziare il clan anche dagli stessi partecipi.