Beni confiscati per i migranti? A Marano il numero più alto di case e ville della Campania

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A parlare sono i numeri. Su un totale di 17mila beni confiscati alle mafie, in tutta Italia, ben 13mila – il 70 per cento – si trova nelle regioni meridionali. Duemilacinquecento in Calabria, 2582 in Campania e addirittura 6916 nella sola Sicilia. Cifre ufficiali, e dunque incontestabili. Rapporti e proporzioni che lasciano ipotizzare – di fronte alle indiscrezioni che circolano sulla possibilità di destinare agli immigrati ville, palazzetti, case, aziende e strutture sottratte alla criminalità organizzata – una vera e propria invasione di profughi al Sud.
Stando sempre ai dati ufficiali, quelli censiti dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati a mafia, ndrangheta, camorra e sacra corona unita, 9310 risultano destinati: 7995 in gestione e 312 usciti dalla competenza dello stesso organismo di controllo.

Un quadro che denota un evidente squilibrio in termini quantitativi. Si pensi che altre regioni italiane – a cominciare dalla Valle d’Aosta (appena due gli immobili confiscati), dal Molise (cinque), dal Trentino Alto Adige (17) e la Basilicata (25) – in base al criterio numerico sarebbero così del tutto esenti dall’accoglienza.
L’elenco ufficiale dell’Agenzia indica come gli «squilibri» non si limitano però ai soli fanalini di coda della lista. Cominciamo dai primi posti. Subito dopo Sicilia, Campania e Calabria c’è la Puglia (1665 unità confiscate), seguita dal Lazio (1170), Lombardia (1266); staccate nettamente, seguono l’Emila Romagna (230), il Piemonte (265), la Sardegna (226), Abruzzo (216), Toscana (170) e a seguire tutte le altre con cifre che vanno dai due ai tre zeri. A conferma dello squilibrio evidente dei numeri tra nord e sud ci sono poi ancora la Liguria (70), il Friuli (40), e a seguire la Toscana (170).

Ma – al di là dello sbilanciamento evidente che conseguirebbe dalla comparazione dei semplici dati numerici, il discorso investe anche altri aspetti. Tanto per cominciare le cifre non rendono giustizia ad un quadro contrassegnato da più ombre che luci. Il caso della Campania è eloquente. Nelle province di Napoli e Caserta (che contano il più alto numero, a livello territoriale, di immobili e aziende confiscate), i beni sottratti ai clan sono spesso affidati a enti e associazioni private «fantasma» o, ancor più spesso, mancano da anni di interventi e manutenzione. Ville sequestrate a boss e gregari cadono a pezzi o risultano inutilizzabili.

Poi c’è il capitolo doloroso dei gravami finanziari. Pur essendo ai primi posti della classifica, Sicilia Campania, Calabria e Puglia incarnano la rappresentazione delle occasioni sprecate, sebbene negli ultimi tempi qualcosa abbia finalmente cominciato a muoversi nella giusta direzione. Il nodo principale resta quello dei costi di gestione di queste strutture. Un esempio: in provincia di Napoli ci sono immobili confiscati da anni che – sebbene destinati con somme anche molto cospiscue nell’ambito del programma operativo nazionale – restano bloccati per ipoteche che nessuno liquida. Non lo fanno soprattutto gli enti locali, i cui bilanci restano quasi sempre in rosso. E così le strutture cadono a pezzi. Risultato: più passa il tempo e più aumenteranno i costi di restauro. Un cane che si morde la coda, insomma. A questo si aggiungano i costi accessori: dalle bollette per l’energia elettrica mai liquidate agli oneri fiscali.

Rimanendo in Campania, il maggior numero di case e terreni è a Marano. Molti non sono stati ancora trasferiti al patrimonio del Comune. Per molti altri invece l’ente – a parte qualche assegnazione – ha ancora molto da fare. C’è la villa bunker del boss Polverino, la villa di Castrese e Giuseppe Palumbo, a Città Giardino, dove è ubicata anche un’altra villa sempre riconducibile ai Polverino. E ancora: la casa di Armando del Core, tra gli esecutori dell’omicidio di Giancarlo Siani e le case dei costruttori Simeoli.

Il Mattino

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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