Caro dottore, sono un “borghese piccolo piccolo”, lavoro nel pubblico impiego, sono laureato, mi accontento del mio stipendio, ho una famiglia normale come tante, mia moglie insegna, le mie figlie sono inscritte entrambe alle superiori. Quest’ultimo anno mi sono ritrovato a soffrire il peso della mia vita mediocre, tanto più confrontandola con la situazione di benessere e soddisfazione che vive il mio fraterno amico M., cui va sempre tutto in modo eccezionale. Siamo amici dall’adolescenza, avevamo molti sogni in comune, compreso la carriera professionale, ma ad un certo punto lui ha optato per quella imprenditoriale, facendo fortuna, mentre io ho scelto la sicurezza di un impiego fisso. Negli ultimi tempi mi sono accorto che, oltre a provare ammirazione per la sua carriera e per il lusso di cui si circonda, sento una forte attrazione per sua moglie, di cui in effetti mi sono innamorato. Cerco continuamente occasioni di vederla, ma il mio interesse non solo non è ricambiato, ma passa inosservato. Mi sento trasparente, ormai mi convinco sempre di più della mia inadeguatezza e della mia inconsistenza. La cosa mi fa soffrire molto.
Claudio (San Giorgio a Cremano)
“Per non sfuggire alla felicità bisogna desiderare quello che si ha”. Ciò è quanto affermava Sant’Agostino, che nella sua grandezza riusciva a rendere semplice un concetto così complesso. Se ci guardiamo attorno, ci rendiamo conto di quanto importante sia il raggiungimento di questo stato. Anche l’industria farmaceutica e il mercato consumistico, hanno orientato i loro radar in questo senso, con promesse di felicità legate al consumo di alcuni prodotti, creando di fatto dei desideri “indotti”. Si tratta di effetti illusori, trappole nelle quale cadono molte persone. “Desiderare” di essere felici è importante, poiché solo attraverso il desiderio si entra in contatto con la libertà, abbattendo vincoli e blocchi che appartengono alla persona nella sua parte più intima. Blocchi che possono fermare la persona in una sorta di stasi, dove il tempo si ferma, e ci si sofferma solo sugli avvenimenti che appartengono agli altri. E’ in questo caso che il desiderio può incontrare l’invidia, assumendo le sembianze di un “desiderio invidioso”: così tutto ci attrae di quello che l’altro possiede, gli oggetti, i legami, la vita stessa. E’ l’oggetto a farla da padrone, solo in quanto “oggetto del desiderio” e non per le sue qualità intrinseche. Spesso questo sentimento è accompagnato da una forte carica aggressiva, il cui auspicio è la distruzione dell’altro. Possedere “l’oggetto del desiderio” idealizzato (la moglie dell’altro) per occupare il posto dell’altro. Un’antica tecnica giapponese insegna a recuperare i cocci del vasellame prezioso andato in frantumi, non incollando i pezzi, ma inserendo nelle fessure oro, secondo una tecnica che rende il vaso più prezioso ancora: non si vuole nascondere la rottura, ma anzi essa è resa ancora più rara e importante dai solchi visibili. Questa piccola metafora ci mette in contatto con il concetto di globalità, di interezza, che viene fuori dall’assemblaggio delle parti messe insieme dai maestri vasai.
Ritrovare la propria integrità, sotto una nuova forma, è un passo indispensabile che inizia dal guardare la persona invidiata nella sua globalità, non per quello che possiede, ma per i valori che rappresenta. Il ritorno alla dimensione dei valori è l’unico modo per prendere distanza dalla dimensione materialistica e opportunistica nella quale ci si può trovare incastrati, recuperando il valore di sé, delle proprie scelte e della propria vita.
Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta
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