Rieccolo. C’è qualcosa di allegramente freudiano se non di patologico – una sorta di «Alzheimer politico» – nell’intervista con cui, al Corriere della sera, Romano Prodi descrive ora i rischi democratici di questo «governo illiberale» dimenticando i disastri provocati dal proprio esecutivo.
Prodi, dipinto come un abate francescano che osserva saggiamente il mondo dalla sua celletta, non solo stronca la «manovra di popolo», il 2,4% di deficit, la volgarità di Orban e i consensi di Salvini e Di Maio, i «numeri fuori controllo». Prodi afferma, deciso, che il mandato popolare del governo gialloverde sia, in realtà una simpatica boutade: «Ci troviamo infatti nel caso in cui chi ha avuto il mandato popolare pensa di avere diritto a fare o a dire qualunque cosa. Come se l’elezione portasse in dote la proprietà del Paese. È una deviazione non solo italiana. Penso alla Polonia e all’Ungheria, così vicina al cuore di Salvini…». Non è carino. Ma, in una democratica dialettica degli opposti, ci può stare, per carità. Finchè, nella foga del j’accuse, il professore azzarda anche l’evocazione di «un raggruppamento che veda insieme, non nello stesso partito, ma alleati: socialisti, liberali, Verdi e macronisti.
© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews