Gentile dottore, le scrivo mentre ho appena finito di fare le valige, di chiudere scatole, di raccogliere oggetti sparsi nella mia bellissima casa di Posillipo, acquistata a suo tempo dal padre di mia moglie. E’ lei che mi ha messo alla porta, dopo un ennesimo litigio in cui è stato dichiarato testualmente “non ti amo più da 15 anni”. Io ho 60 anni appena compiuti, mia moglie 58, i figli ancora in casa, frequentano l’università. Ho per fortuna una casa piccola di proprietà e mi rifugio lì, ma mi sento davvero un cane bastonato. Mi chiedo dove abbia sbagliato, cosa abbia fatto mancare in una famiglia a cui ho garantito agio, vacanze, viaggi all’estero. Evidentemente non c’è nulla che possa bastare, alcun sostegno affettivo né sacrificio può far ragionare chi ha deciso di cancellare con una spugna 30 anni. I miei figli, allibiti, non hanno osato contrastare la madre e si sono posti in una dimensione di spettatori silenziosi. Mia moglie è sempre stata molto forte, un carattere che non ammette di essere contrastato e che sfinisce l’interlocutore fino a farsi dare ragione, a ottenere ciò che vuole. L’ho sempre assecondata e accontentata. Non capisco tanta spietatezza. Un nemico avrebbe avuto più sensibilità; che amarezza, che fallimento!
Giovanni (Mugnano)
Risposta
L’uomo con la valigia! Non è solo il riferimento al titolo di un film, ma anche l’ emblema di colui che sta per lasciare casa, con quell’ involucro che sembra tanto pesante da rendere barcollante la persona, che nel suo incedere lo sopporta. Quanto pesa quella valigia, il fardello di una vita iniziata con l’illusione di un amore eterno, quello che non finisce mai, ma termina, nella disillusione del sogno che svanisce. Ricordi, recriminazioni, amarezze, quanto pesano quelle emozioni ammassate senza cura, con distacco, con la lentezza estrema di chi sa di non avere più una casa. “Guai a chi non ha una casa! “ ( Nietzsche). L’uscita di casa propone una vita senza più riferimenti, senza radici, dove le coordinate sono affidate all’angoscia, che dimora dentro. Cosa si lascia nella casa se non l’illusione dell’amore, consumato nella monotonia, nella routine, nella falsa sicurezza che diventa la spinta per lo spegnimento del desiderio, facendoci ricadere nella solitudine, che presenta la realtà in tutta la sua spietatezza. La sicurezza che barattiamo con la felicità e foriera di noia, di abitudine, di anestesia emotiva, di mancanza di curiosità. Instradati in questo spazio non ci si accorge di tutti i cambiamenti che avvengono in ogni abitante della casa. Per questo si esce estranei dalla casa, con quella estraneità che appartiene allo straniero quando arriva in una terra nuova e non trova un abbraccio ad aspettarlo, come se la propria storia lo avesse abbandonato, non volendo più riconoscerlo in quello che è stato. Quello che è stato: il passato. La salvezza dunque è nel futuro, alzare lo sguardo all’orizzonte, vivere il presente, andare verso il nuovo. Auguri caro lettore, con grande affetto!
Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta
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