Ischia, terremoti, abusi ed ammissioni. “Ecco come ho costruito”

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Il permesso per costruire se non te lo dà lo Stato, se non te lo dà il Comune, te lo dà il vicino. Poi ci si mette a posto. L’adagio popolare su cui Ischia ha cambiato faccia negli anni, costruendo dove e come non si poteva, modificando alla bell’e meglio, aggirando stringenti vincoli paesaggistici e sfruttando l’assenza atavica di un piano regolatore, trova centinaia di esempi. Eccone uno, raccontato in un misto di rivendicazione, incoscienza e ritrosia: «Volete sapere come si fanno i lavori a Casamicciola?», esordisce Giulio Bruno, 59 anni.

Ha mani grosse da lavoratore, la canottiera impolverata, grossi baffi e la barba vecchia di due giorni. È in fila tra i tanti per chiedere una verifica di stabilità e tornare almeno per qualche momento nella casa ora inagibile forse anche per quei ritocchi alla planimetria. «Io ho moglie, due figlie femmine e un figlio maschio più piccolo. Abitiamo su via Montecito, più fuori rispetto a La Rita e piazza Maio dove ci sono stati i crolli. La casa è vecchia, quelle di famiglia di 90 o 100 anni fa, aveva i muri di tufo e le travi di legno e dovevo allargarla per starci tutti, dovevo ricavare una stanza in più per mio figlio». Una necessità per la quale dice, e sembra sincero, di aver provato la strada legale. «Io il permesso l’ho chiesto ma non ne l’hanno dato. Qua è tutto vincolato, non si può abbattere e non si può ricostruire. Si deve modificare quello che già c’è. Ma io non davo fastidio alla proprietà di nessuno».

È il refrain ripetuto da tanti, chi in buona chi in cattiva fede, in un paese che vive di turismo quattro mesi all’anno e in quel periodo cerca di concentrare quanta più gente può accogliere. Ma sono anche storie di vita quotidiana. La differenza tra un abuso e l’altro la fa la qualità dei lavori, in sintesi la disponibilità economica. Il signor Bruno va avanti a compilare la sua scheda urbanistica e spiega: «Mi è stato detto che non potevo usare il cemento armato per rifare il perimetro della stanza in più e allora ho usato i lecablock». Sono i mattoni di cemento che hanno funzione «decorativa», ossia sono utili come muri separatori ma non sono adatti a reggere un piano su di sé. Certo sempre meglio dei tanto diffusi muri a secco, che qui si chiamano «parracine». «I mattoni li ho riempiti di cemento e il cemento l’ho messo pure tutto attorno. Mica sono sprovveduto. Poi ho chiesto il condono».

Sulle date e sui costi della sanatoria edilizia resta sul vago, dice di non ricordare, dovrebbe controllare le carte di allora. «Eh, ormai sono più di quindici anni. Ho pagato tutto quello che andava pagato per mettermi in regola e poi le tasse ogni anno per la casa più grande». Di certo per lui non si tratta di irregolarità. «Ma quale abuso e abuso, è tutto in regola, ho pagato tutto». Quanto ai danni, la spiegazione è altrove: «La parete è caduta, ma anche le altre sono lesionate, per quello sto qua a chiedere il sopralluogo. La casa è vecchia come le altre che sono crollate. Ora mia moglie è andata con mia figlia dall’altra figlia sposata, mio figlio dai nonni dall’altra parte dell’isola, io ho dormito in strada due sere. Non voglio l’albergo, prendo una casa in affitto casomai, ma chi me li dà settecento o ottocento euro al mese?». La premura del signor Bruno però è anche un’altra. Poter entrare per prendere i fucili da caccia che qualcuno, dice, potrebbe rubargli approfittando della casa disabitata. «Anche la cassaforte si è crepata, sto in pensiero».

Il Corriere

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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