Comune di Calvizzano sciolto per camorra, tre ex amministratori incandidabili. Ecco la sentenza integrale

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Con decreto del Presidente della Repubblica del 20.4.18 è stato sciolto il Consiglio Comunale di Calvizzano per la durata di diciotto mesi e la gestione dell’ente locale è stata affidata ad una commissione straordinaria, in ragione della sussistenza di forme di ingerenza della criminalità organizzata, tali da esporre l’amministrazione stessa a pressanti condizionamenti, con compromissione del buon andamento e dell’imparzialità della stessa amministrazione. La proposta ministeriale di scioglimento del Consiglio Comunale di Calvizzano (unitamente alla relazione del Prefetto di Napoli, che è parte integrante della predetta proposta, e dello stesso provvedimento di scioglimento adottato dal Presidente della Repubblica) è stata trasmessa a questo Tribunale per le finalità di cui all’art. 143 comma 11 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L.), che testualmente sancisce “Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione d’incandidabilità il Ministro dell’interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile”.
Il Ministero dell’Interno nella memoria di costituzione del 19.6.18 ha chiesto di dichiarare l’incandidabilità, ai sensi della norma sopra citata, esclusivamente degli amministratori LORENZO GRASSO, ANTONIO FERRILLO, ANTONIO DI ROSA , MARIA LUISA FERRIGNO  e MADDALENA TRINCHILLO , con esclusione degli altri amministratori pure indicati nella relazione prefettizia parte integrante della  proposta ministeriale di scioglimento del Consiglio Comunale di Calvizzano. Si costituivano in giudizio tutti gli amministratori convenuti – i quali contestavano in fatto e in diritto l’avverso ricorso, e ne chiedevano il rigetto, con vittoria delle spese di lite – ad eccezione di ANTONIO FERRILLO e ANTONIO DI ROSA dei quali va dichiarata la contumacia  in quanto regolarmente citati e non costituiti. All’udienza del 8.11.18 le parti, compreso il PM , precisavano le rispettive conclusioni come in atti, e la causa era rimessa in decisione al Collegio. Sempre in via preliminare si evidenzia che l’ipotesi di incandidabilità disciplinata all’art. 143, comma 11, T.U.E.L. presenta certamente “presupposti, funzione ed effetti non assimilabili a quelli di cui all’ipotesi contemplata dall’art. 58 del medesimo T.U.E.L.; mentre infatti l’incandidabilità di cui all’art. 58 del T.U.E.L. consegue automaticamente al verificarsi dei presupposti indicati dal legislatore (sentenza di condanna definitiva per determinati delitti, applicazione di misure di prevenzione con provvedimento definitivo) e limita considerevolmente il diritto di elettorato passivo in quanto opera senza limiti di tempo fino ad eventuale riabilitazione ai sensi dell’art. 178 c.p., l’incandidabilità di cui all’art. 143, comma 11, T.U.E.L. deve essere dichiarata con un provvedimento definitivo di carattere giurisdizionale ed è limitata, sotto il profilo temporale, al primo turno elettorale successivo allo scioglimento e, sotto il profilo spaziale, alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali relative al territorio regionale in cui si trova l’ente locale il cui consiglio sia stato attinto dal provvedimento dissolutorio; è infine correlata – non già alla condanna definitiva per specifici titoli di reato ovvero alla applicazione, sempre con provvedimento definitivo, di misure di prevenzione – bensì a condotte, in ipotesi anche non contestate in sede penale, che abbiano dato causa allo scioglimento del consiglio dell’ente locale. La norma prevede che il Ministro dell’interno trasmetta la proposta di scioglimento al Tribunale civile competente per territorio, prevedendo una forma particolare di instaurazione del giudizio, destinato poi a svolgersi secondo la procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile”( articoli 737  e ss cpc ); l’incandidabilità è invero dichiarata con provvedimento definitivo di carattere giurisdizionale, di natura decisoria, incidente su interessi di rango costituzionale (il diritto di elettorato passivo, da un lato, e dall’altro l’interesse al buon andamento della Pubblica Amministrazione ) ed è emesso all’esito di una procedura contenziosa che assicuri la tutela del contraddittorio e del diritto di difesa, sebbene svolta nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio secondo le regole del rito camerale.  Invero l’art. 143 comma 11 del TUEL si inserisce nell’ambito della c.d. “cameralizzazione dei diritti”.
Infatti la introduzione della previsione dell’art. 742-bis cod. proc. civ. (art. 51 legge 14 luglio 1950, n. 581) – che consente l’applicazione delle norme comuni di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. a tutti i procedimenti la cui disciplina contenga un richiamo esplicito o implicito alla camera di consiglio «ancorché non regolati dai capi precedenti o che non riguardino materia di famiglia o di stato delle persone» – ha avuto il ruolo di apripista al legislatore che si è reso artefice di una vera e propria cameralizzazione della tutela dei diritti prevedendo una sempre più crescente serie di ipotesi in cui viene fatto ricorso alle forme camerali per la tutela contenziosa di diritti e status controversi. Tali scelte legislative, spesso aliene da preoccupazioni di sistemazione organica, risultano talvolta (come nel caso di specie ex art 143 TUEL) dettate dalla specifica materia trattata per la quale si ritiene conveniente – anche per diffidenza verso il modello del processo ordinario di cognizione – riservare forme camerali in ragione di obiettivi di rapidità ed effettività della tutela, mentre in altri casi tali scelte del legislatore sono correlate alla peculiarità e rilevanza degli interessi coinvolti (in tema di famiglia e tutela dei minori); ciò sempre però nel rispetto dei requisiti indefettibili del «giusto processo» come individuati in via giurisprudenziale, quali il rispetto del principio della domanda e del contraddittorio, l’assicurazione di termini compatibili con un adeguato diritto di difesa,  l’obbligo di motivazione, possibilità di acquisire prove precostituite e di assumere prove costituende purché il relativo modo di assunzione – comunque non formale nonché atipico – risulti compatibile con la natura camerale del procedimento, e ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost.(Cass. 6900/1996, Cass. 2776/2004: 565/2007, Cass. 6319/2011).  Per quel che concerne inoltre l’aspetto procedurale dell’esatta individuazione dell’atto introduttivo del procedimento finalizzato alla declaratoria di incandidabilità, questo Collegio intende dare doverosa continuità alla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 30 gennaio 2015, n. 1747 (peraltro richiamata al fl 11 della memoria difensiva dell’avvocatura distrettuale dello Stato) . Invero : “Dal tenore letterale della disciplina legislativa emerge che lo speciale procedimento camerale destinato a valutare la responsabilità degli amministratori e i loro collegamenti inquinanti e ad amputare cautelativamente, con la dichiarazione di incandidabilità, i rischi di proiezioni criminali nel primo turno elettorale successivo allo scioglimento che si svolge nel perimetro regionale di riferimento dell’ente disciolto, inizia con l’invio, da parte del Ministro dell’interno, della proposta di scioglimento al Tribunale competente per territorio. È esatto che il procedimento giurisdizionale in questione si svolge – per espresso richiamo normativo – secondo la procedura camerale ex art. 737 c.p.c. e ss., e che proprio l’art. 737 c.p.c. […] prevede che “i provvedimenti, che debbono essere pronunciati in camera di consiglio, si chiedono con ricorso al giudice competente”, e quindi richiede che la domanda assuma la forma del ricorso contenente i requisiti menzionati nell’art. 125 c.p.c.. Ma il legislatore – pur disponendo l’applicazione, “in quanto compatibili”, delle “procedure di cui al libro 4^, titolo 2^, capo 6^, del codice di procedura civile” – ha dettato, espressamente, una diversa forma di introduzione del procedimento de quo.
Prevedendo che “ai fini della dichiarazione d’incandidabilità il Ministro dell’interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4, al Tribunale competente per territorio”, il citato art. 143, comma 11, non solo affida al Ministro dell’interno la legittimazione attiva, ma anche individua nella trasmissione della proposta di scioglimento avanzata dallo stesso Ministro l’atto introduttivo del procedimento. Si è quindi di fronte ad una forma speciale di instaurazione del giudizio, destinato poi a svolgersi – una volta appunto introdotto secondo le prescrizioni dettate dalla norma – nelle forme del rito in camera di consiglio. Si tratta di una scelta legislativa coerente con la natura e il contenuto della proposta ministeriale e, al contempo, con le finalità del rimedio della incandidabilità. Per un verso, infatti, la proposta di scioglimento del Ministro dell’interno non solo indica le anomalie riscontrate e i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico, ma contiene anche la menzione degli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento: di qui l’idoneità di detta proposta del Ministro, in quanto recante i nominativi degli amministratori responsabili e le ragioni della loro dedotta responsabilità, a fungere, una volta inviata al tribunale competente ai fini della dichiarazione d’incandidabilità di detti amministratori, da atto di impulso del relativo procedimento giurisdizionale”…..
 Peraltro negli stessi termini, nell’anno 2017, si è espressa la prima sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 516 dell’11 gennaio 2017, sancendo che “Come […] risulta dall’inequivoco tenore letterale dell’11° comma del menzionato art. 143 T.U., lo speciale giudizio per l’applicazione della misura preventiva nei confronti degli amministratori locali che con le loro condotte abbiano determinato lo scioglimento del consiglio dell’ente locale […] deve necessariamente iniziare con la trasmissione da parte del Ministero dell’Interno “senza ritardo della proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio”, il quale è tenuto a valutare esclusivamente la sussistenza degli elementi di cui al comma 1° con riferimento agli amministratori indicati “nella proposta stessa”: perciò costituente …….. il solo atto introduttivo dello speciale giudizio voluto dal legislatore che di conseguenza, con tale specifica previsione, per un verso ha derogato (oltreché all’ordinario giudizio elettorale per l’accertamento delle ineleggibilità/incompatibilità), al disposto dell’art. 737 cod. proc. civ. sulla edictio actionis onde conseguire il provvedimento cautelare. E dall’altro, non ne ha consentito la sostituzione con atti equipollenti – siano antecedenti che successivi – men che mai con contenuto modificativo o semplicemente integrativo di quello della proposta ministeriale in questione […] La configurazione di un procedimento (in tali limiti) speciale ed officioso trova del resto conferma nell’ultima parte della norma che dispone l’applicazione ad esso “delle procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI del codice di procedura civile” non nella loro totalità, ma soltanto “in quanto compatibili”, in tal modo giustificando l’esclusione della parte in cui lo stesso legislatore ha dettato una disciplina particolare e con essa incompatibile: quale proprio quella relativa alla proposta del Ministero come atto necessario e nel contempo sufficiente per l’attivazione del procedimento giurisdizionale”.
A ciò si aggiunga che tale indirizzo interpretativo, già consolidato nella Giurisprudenza di merito e legittimato dalle pronunce della Cassazione sopra riportate, risulta espressamente richiamato proprio nella RELAZIONE ALLE CAMERE DEL MINISTRO DELL’INTERNO del marzo 2018  sull’attività delle Commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso relativa all’anno 2017(www.interno.gov.it), a riprova di quanto, senza alcun dubbio, si deve ritenere che l’invio da parte del Ministero dell’interno senza ritardo – al Tribunale competente a valutare la sussistenza degli elementi di cui al comma primo della proposta di scioglimento con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa e nella relazione prefettizia che è parte integrante della predetta proposta, – debba tradursi in consapevole atto introduttivo dello speciale giudizio voluto dal legislatore ex art 143  co 11.
Solo ad abundantiam si evidenzia che il Collegio non ignora la pronuncia di segno contrario della Cassazione civile, sez. I, 29/07/2015, n. 16048, richiamata dalla Avvocatura di Stato  la quale, a soli 6 mesi di distanza dalla pronuncia delle Sezioni unite,  ha ritenuto di non invocare l’art 374 co 3 cpc e che infatti nella predetta pronuncia resta al rango di mero inquadramento teorico, non trasfuso nella ratio decidendi di specifici motivi di ricorso, l’enunciato secondo cui il procedimento per la dichiarazione di incandidabilità degli amministratori locali responsabili di condotte che abbiano dato causa allo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni di tipo mafioso, pur essendo destinato a svolgersi con il rito camerale ex art. 737 e segg. cod. proc. civ., ha una forma speciale di instaurazione, perfezionata con la trasmissione stessa della proposta del Ministro dell’interno ai sensi del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 143, comma 11….; infatti Una volta esclusa, peraltro, l’esistenza di una contestuale, precisa affermazione di principio contraria all’integrabilità, con memoria, degli elementi di fatto riportati nella proposta, diventa nominalistica la questione se di vera memoria, interna ad un procedimento già avviato, si tratti, o in realtà, a dispetto del nomen juris, di vero ricorso introduttivo, ex art. 737 cod. proc. civ., destinato a fissare il thema decidendum, ….Il procedimento giurisdizionale previsto dall’art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000 ….non ha natura impugnatoria, ma è riconducibile ad un ordinario giudizio camerale contenzioso di cui agli artt. 737 e segg. cod. proc. civ., soggetto al generale principio della domanda. Non può, dunque, mancare un atto introduttivo che abbia tutti i requisiti della “vocatio in ius” e dell'”editio actionis”, elencati dall’art. 125 cod. proc. civ., da identificarsi nella memoria dell’Avvocatura dello Stato, che rappresenta in giudizio il Ministero dell’interno, dovendosi, invece, attribuire alla proposta dello stesso Ministero, di cui al comma 11 del menzionato art. 143, il valore di atto introduttivo unicamente in una accezione atecnica, in quanto idonea a provocare l’attivazione del potere d’impulso del tribunale volto alla fissazione dell’udienza camerale. Tuttavia il Collegio ritiene doveroso non discostarsi da un’interpretazione del giudice di legittimità a Sezioni unite, investito istituzionalmente della funzione di nomofilachia in considerazione dell’ulteriore conferma di cui alla sentenza 516/2017 nonché delle ampie e ragionate conclusioni della stessa sentenza del 2015, n. 1747 sorrette da motivazioni puntuali, sopra riportate, e ritenute dal collegio ampiamente condivisibili in toto.
Ciò premesso, in estrema sintesi, nel caso di specie, in ossequio ai principi di cui alla sentenza SSUU 1747/15, quindi, la memoria della Avvocatura di Stato rappresenta non già  atto introduttivo ma il momento processuale in cui sono state meglio cristallizzate le domande già proposta dal Ministero ricorrente, per cui la mancata riproposizione delle medesime nei confronti di alcuni amministratori (ROBERTO VELLECCO, FLORA DEL PRETE, GIUSEPPE ROCCO SANTOPAOLO,  GIACOMO PIROZZI , BIAGIO SEQUINO , MICHELE D’AMBRA , ANTONIO DI MARINO)  altro non è che rinuncia alle stesse, non potendo nutrirsi  sul punto alcun dubbio in base alla valutazione complessiva della condotta processuale della parte  ricorrente ovvero dal contenuto inequivoco della memoria di costituzione; tanto impone  nei confronti dei predetti una pronuncia di cessazione della materia del contendere . Il collegio non ignora che la rinuncia all’azione – inibendo al giudice una delibazione sulla fondatezza della domanda – estingue l’azione, determina la cessazione della materia del contendere e, avendo l’efficacia di un rigetto, nel merito, della domanda, comporta di regola che le spese del processo devono essere poste a carico del rinunziante (Cassazione 18 255-2004) ; Tuttavia nel caso di specie: – rilevato che il procedimento camerale non si sottrae alla disciplina di cui all’art 306 cpc e ss;  – rilevato che tutte le parti avanzavano istanza di accesso al fascicolo informatico nonché si costituivano in data successiva al deposito della memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato per il MINISTERO DELL’INTERNO e per la PREFETTURA DI NAPOLI – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO;  – rilevato che pertanto si costituivano in un momento successivo alla sopravvenuta  mancata riproposizione della domanda,  già proposta dal Ministero, nei confronti di alcuni amministratori (ROBERTO VELLECCO , FLORA DEL PRETE ,GIUSEPPE ROCCO SANTOPAOLO,  GIACOMO PIROZZI , BIAGIO SEQUINO , MICHELE D’AMBRA , ANTONIO DI MARINO);  – rilevato che, in estrema sintesi, la costituzione interveniva successivamente alla rinuncia alla domanda la quale ex se fa venire meno il potere del Tribunale di pronunciarsi nel merito ed aveva già eliminato  le ragioni del contendere delle parti, facendo venir meno l’interesse ad agire e a contraddire, con l’effetto che la pronuncia di cessazione della materia del contendere che ne consegue è ex se inidonea ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale, sulla pretesa fatta valere, limitandosi tale efficacia di giudicato al solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del giudizio (in questo senso Cassazione 4714/07) . Il Collegio non può che ritenere l’ipotesi in esame assimilabile all’ipotesi di rinuncia effettuata prima della costituzione della controparte e per l’effetto, il provvedimento che ne consegue, non deve contenere alcuna statuizione in ordine alle spese processuali che restano a carico della parte che le ha anticipate ex art 310 cpc ultimo comma . (Cass. civ., sez. I, 10-03-2011, n. 5756).
Solo ad abundantiam si rileva inoltre che alcuna censura di ordine formale e procedurale veniva lamentata dai convenuti ai quali è stato consentito un pieno e consapevole contraddittorio nel presente giudizio. Alcuna censura gli stessi in particolare hanno mosso in considerazione del fatto che l’atto richiamato per relationem dal decreto presidenziale di scioglimento (la relazione prefettizia) contenga molti “omissis”, in quanto ciò con ogni evidenza non ha minato il diritto di difesa, attesa la sicura intellegibilità, da parte dei diretti interessati, delle contestazioni loro mosse alla luce delle circostanze individualizzanti loro contestate da cui dovrebbe desumersi l’incandidabilità con sufficienti e individualizzanti riferimenti alle persone degli odierni convenuti in relazione alle rispettive cariche ricoperte nella disciolta amministrazione. Gli stessi convenuti invero non avanzavano alcuna istanza a questa AG ex art. 42, comma 8, legge n. 127/2007 di ordinare l’esibizione della relazione, per la quale non sia opposto il segreto di stato, curandone la conservazione con modalità che ne tutelino la riservatezza, garantendo il diritto delle parti nel procedimento a prenderne visione senza estrarne copia. Tanto premesso appare necessario entrare nel merito relativamente alle sole posizioni di LORENZO GRASSO; ANTONIO FERRILLO; ANTONIO DI ROSA ; MARIA LUISA FERRIGNO E MADDALENA TRINCHILLO. Si ribadisce , in via preliminare, che non solo il procedimento giurisdizionale volto alla dichiarazione di incandidabilità è autonomo rispetto a quello penale, ma anche diversi ne sono i presupposti, perché la misura interdittiva di cui all’art. 143, comma 11, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali non richiede che la condotta dell’amministratore integri gli estremi dell’illecito penale (affiliazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa o consumazione di altri reati con l’aggravante dell’art 7 L 203/91) perché scatti l’incandidabilità alle elezioni; rileva invero solo la responsabilità dell’amministratore nel grave stato di degrado amministrativo causa di scioglimento del consiglio comunale, e quindi è sufficiente che sussista, per colpa dello stesso amministratore, una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio”; invero, come ribadito dalla costante giurisprudenza di merito e di legittimità “la misura interdittiva della incandidabilità dell’amministratore responsabile delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento del consiglio comunale conseguente a fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso o similare nel tessuto istituzionale locale, privando temporaneamente il predetto soggetto della possibilità di candidarsi nell’ambito di competizioni elettorali destinate a svolgersi nello stesso territorio regionale, rappresenta un rimedio di extrema ratio volto ad evitare il ricrearsi delle situazioni che la misura dissolutoria ha inteso ovviare, e a salvaguardare così beni primari dell’intera collettività nazionale – accanto alla sicurezza pubblica, la trasparenza e il buon andamento delle amministrazioni comunali nonché il regolare funzionamento dei servizi loro affidati, capaci di alimentare la “credibilità” delle amministrazioni locali presso il pubblico e il rapporto di fiducia dei cittadini verso le istituzioni – beni compromessi o messi in pericolo, non solo dalla collusione tra amministratori locali e criminalità organizzata, ma anche dal condizionamento comunque subito dai primi, non fronteggiabile, secondo la scelta non irragionevolmente compiuta dal legislatore, con altri apparati preventivi o sanzionatori dell’ordinamento” (così Corte di Cassazione, Sezioni Uniti Civili, n. 1747 del 30 gennaio 2015). Sulla scorta dell’orientamento reso dalle Sezioni Unite, si osserva che, ai fini della pronuncia di incandidabilità non si richiede necessariamente la prova di comportamenti idonei a  determinare la responsabilità personale, anche penale, degli amministratori o ad evidenziare il loro specifico intento di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, risultando invece sufficiente l’acquisizione di elementi idonei a far presumere l’esistenza di collegamenti con quest’ultima o di forme di condizionamento tali da alterare il procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi o amministrativi del comune o della provincia, da compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione o il regolare funzionamento dei servizi pubblici, o da arrecare pregiudizio alla sicurezza pubblica” (così Corte di Cassazione, sez. I, sentenze nn. 19407 e 19408 del 3 agosto 2017). “Questo assetto organizzativo comporta – in ossequio al principio costituzionale sancito dall’art 27 della Costituzione che la responsabilità penale è personale  –  che non si possa, automaticamente e acriticamente, imputare all’organo politico (in specie, sindaco e assessori) qualsiasi violazione di norme sanzionate penalmente o in via amministrativa, verificatasi nell’ambito dell’attività dell’ente, qualora sussista un apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento dell’attività medesima, con relativo dirigente dotato di autonomia decisionale e di spesa; e che, per contro, debba farsi carico all’organo politico di responsabilità solo in presenza di specifiche condizioni, correlate alle attribuzioni proprie di tale organo e, cioè, quando sussistano violazioni dipendenti da carenze di ordine strutturale riconducibili all’esercizio dei poteri di indirizzo e di programmazione o quando l’organo politico sia stato specificamente sollecitato ad intervenire ovvero sia stato a conoscenza della situazione antigiuridica derivante dalle inadempienze dell’apparato competente e abbia omesso di attivarsi, con i suoi poteri autonomi, per porvi rimedio“ (in questi termini Corte di Appello Catanzaro, sez. I, sentenza n. 1068 del 7 giugno 2017).
Ed invero  che la condotta degli organi di vertice politico-amministrativi [assume] rilievo …anche se caratterizzata, in via omissiva, dalla mancata attivazione dei poteri di vigilanza, controllo e verifica attribuiti dalla legge, rappresenta una conclusione giurisprudenziale ormai pacifica”.  Ovviamente le condotte attive o omissive dei singoli amministratori devono  caratterizzarsi per concretezza, essere cioè assistite da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; univocità, che sta a significare la loro direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire;  rilevanza, che si caratterizza per l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale. Inoltre, non assume rilevanza il fatto che le disfunzioni dell’apparato burocratico amministrativo siano pregresse, essendo sufficiente che l’amministrazione in carica nulla abbia fatto in concreto per rimuovere l’inefficienza; anche un comportamento meramente omissivo, o comunque di tolleranza, o di dissociazione meramente nominale o dichiarata, ma non effettivamente posta in essere, costituisce in effetti la perpetuazione della situazione di disfunzione e di illegalità preesistente, che sul piano della tutela è oggetto di disvalore quanto la condotta commissiva che l’ha originata. Anzi, a fronte di una situazione pacificamente riconosciuta come di illegittimità, è necessario che ne sia disposta in tempi ragionevoli l’effettiva e sostanziale eliminazione. È dunque irrilevante la produzione, anche intensa e reiterata, di atti amministrativi contenenti dichiarazioni di intenti, direttive, disposizioni, programmi o atti di indirizzo latamente intesi, quando, in un lungo lasso di tempo, superiore a quello ragionevolmente necessario secondo diligenza e buona fede all’elaborazione di una matura e consapevole maturità decisionale amministrativa, a tali atti non facciano seguito l’effettiva rimozione delle cause, degli effetti e delle conseguenze dell’azione illegittima che si è inteso dichiarare di voler correggere.
In quest’ottica, la carente azione di governo del territorio, sotto il profilo urbanistico, edilizio e produttivo, è intrinsecamente rappresentativa di un’amministrazione locale timida, debole, oggettivamente gregaria e collusiva con il sistema mafioso di condizionamento dello sviluppo sociale ed economico del territorio. L’indagine del giudice deve poi concretarsi nell’accertamento dell’eventuale sussistenza di un nesso causale fra le predette condotte (attive e/o omissive) poste in essere dai soggetti, di cui è stata richiesta la dichiarazione di incandidabilità,  e lo scioglimento dell’ente locale;  ovvero se dette condotte, accertate nella documentazione prodotta in atti, denuncino la detta interferenza della criminalità organizzata nell’amministrazione comunale;  e se le stesse si sono poste quale causa efficiente dello scioglimento del Comune, per aver reso sostanzialmente permeabile l’apparato comunale agli interessi delle consorterie criminali, consentendone l’infiltrazione, nei termini prima meglio precisati. (Tribunale Napoli Nord 14.12.17)  Tanto premesso va da sé che i rapporti di parentela – che rappresentano una circostanza oggettiva , inevitabile,  non frutto di una autonoma scelta e di un atto di autodeterminazione – non possono costituire elemento indicativo di un collegamento rilevante ai sensi dell’articolo 143 dlgs 267/00; i rapporti di parentela, per assumere rilievo, devono essere rafforzati, infatti, dalla riscontrata sussistenza di convivenza o comunque di assidua frequentazione, frutto di autonoma determinazione, con soggetti riconducibili all’associazione criminale; infatti solo le frequentazioni, e non già la mera parentela,  possono essere ascritte al concetto di condotta consapevole ed idonea a determinare l’adozione di un provvedimento se – in considerazione del numero delle volte in cui tali incontri si sono verificati ovvero della loro frequenza nel tempo, della durata dei singoli incontri, del contesto in cui gli stessi si sono svolti – sia desumibile il carattere non occasionale ma programmatico delle stesse (Cassazione 19407/2017).  Il collegio reputa che il comportamento censurabile dell’amministratore locale rilevante ai fini del presente giudizio – lungi dal doversi necessariamente tradurre in comportamenti penalmente rilevanti di concorso o di agevolazione degli interessi criminali – può consistere anche in semplici incertezze, esitazioni, attribuibili, se non ad un collegamento diretto con la criminalità organizzata , ad una qualsiasi forma di condizionamento da parte della  stessa; Si può e si deve attribuire rilievo infatti anche alla mera condotta di inerzia ed alla mancanza di incisività in ragione del semplice condizionamento ambientale che può essere anche frutto di spontanea adesione culturale o di timore o di esigenza di quieto vivere (Cfr. Cons. Stato, VI, 5 ottobre 2006 n. 5948) o della paura per esplicite o implicite minacce e ritorsioni da parte delle organizzazioni criminali operanti sul territorio; infatti se la paura paralizza e condiziona l’azione di governo del territorio , la rende per ciò solo debole, timida, non incisiva ed ex se collusiva col sistema mafioso, costruendo terreno fertile per l’affermarsi di interessi economici di imprese legate alla criminalità; inerzia e mancanza di incisività, si ribadisce, spesso non rilevanti in sede penale, ma rilevanti secondo il dettato dell’art 143 lì dove si traducono in un agevolamento immediato e diretto sul piano economico degli interessi mafiosi radicati nel territorio. Fissati i principi, prima di passare al doveroso esame delle singole posizioni, vanno esaminate le vicende che hanno condotto allo scioglimento dell’amministrazione comunale insediatasi a seguito delle elezioni del 26-5-13 del Comune di Calvizzano (giusto decreto del Presidente della Repubblica del 20.4.18).
L’amministrazione comunale di Calvizzano(Na) ,sostenuta da una coalizione di liste civiche,  è stata guidata dal sindaco Giuseppe Salatiello (già consigliere comunale dal 1988 e già sindaco dal 1993 al 2001) fino al suo decesso per cause naturali, (26 luglio del 2017), data in cui le funzioni sono state, pertanto, assunte dal vice sindaco Lorenzo Grasso . Tale amministrazione comunale registra una patologica continuità politica caratterizzata dalla presenza del Salatiello per oltre un ventennio, con cariche diverse (Sindaco, Consigliere e Presidente del Consiglio comunale), con rapporti di parentela con persone gravitanti negli ambiti della locale criminalità organizzata. Sul territorio risulta accertata, da sentenze penali passate in giudicato, l’esistenza di consorterie camorristiche  che, come accertato dall’organo ispettivo,   hanno determinato le scelte e gli indirizzi dell’Ente locale, facenti capo al sodalizio  camorristico «Nuvoletta-Polverino”;  il capo indiscusso ha dimostrato indubbia capacità imprenditoriale con attività illecite anche all’estero (in Spagna) ed ingenti investimenti finanziari e immobiliari, derivati dal traffico internazionale di sostanze stupefacenti. In seno a tale cordata camorristica Nuvoletta-Polverino è stata provata l’esistenza di un gruppo criminale autonomo degli Orlando il cui capo reggente opera sostituzione del fratello capo clan indiscusso latitante dal 2003. Tali sodalizi criminali – già duramente colpiti il 4giugno2013 con l’esecuzione, di due ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 70 indagati – sono stati ulteriormente indeboliti dall’ordinanza di custodia cautelare emessa il 5 aprile 2017  nei confronti di trentasei soggetti ritenuti elementi apicali del clan Orlando, la cui operatività è circoscritta essenzialmente ai territori di Marano di Napoli, Quarto e Caivizzano, nonché dall’ordinanza del 10 luglio 2017 nei confronti di dieci indagati contigui al clan Orlando.  Il territorio di Calvizzano ,  oltre a subire storicamente l’influenza delle organizzazioni criminali maranesi dei Nuvoletta, Polverino, Orlando, ha soggiaciuto anche al potere dei clan Ferrara e Cacciapuoti, collegati a loro volta ai Clan Mallardo di Giugliano in Campania. L’amministrazione comunale si caratterizza inoltre per continuità nella gestione politico-amministrativa in riferimento in particolare proprio a quegli amministratori a carico dci quali sono emerse cointeressenze e/o frequentazioni con soggetti appartenenti ad ambienti criminali. La struttura buracratico-amministrativa comunale ha evidenziato una condizione di grave e diffuso disordine organizzativo che ha prodotto notevoli criticità, complice la notevole carenza di organico e il diffuso  fenomeno di assenteismo sintomo di elevata inefficienza mai arginato; si è registrata l’assenza di qualsivoglia autentica cura e verifica del profili di legittimità, finanche formale, dell’azione amministrativa senza rispetto dei criteri di trasparenza, buon andamento ed imparzialità che devono  animare l’attività amministrativa; a ciò ha fatto da contraltare la mancanza di doverose iniziative sul piano disciplinare e/o la mancata attivazione di inchieste interne o anche solo di richieste dì chiarimenti da parte degli organi dl indirizzo politico, pur a fronte di gravi irregolarità, con l’intervento significativo, nella veste di soggetti  avvantaggiati dall’inerzia dell’amministrazione, di personaggi vicini alla criminalità organizzata.
Gravi e sistematiche violazioni sono state riscontrate dalla Commissione di accesso nelle procedure di appalti pubblici nel cui ambito l’Ente non ha mai aderito all’istituto della stazione unica appaltante posto a garanzia del buon andamento dell’amministrazione;  Emblematica sul punto è il caso di ben nove affidamenti diretti dal 2013 al 2016, alla medesima società (attualmente sottoposta ad amministrazione giudiziaria) facente capo a famiglia criminale destinataria, nel 2012, di un’interdittiva antimafia in quanto ritenuta contigua al can Fabbrocino  di Nola per la quale avrebbe riciclato ingenti capitali Illeciti Anomala altresì nei primi mesi del 2013 la gara per l’appalto del servizio di igiene urbana,  gia dal 1988 gestito dagli stessi soggetti, per un importo a base d’asta di circa 4,5 milioni di euro. All’appalto ha partecipato soltanto una società, con un’offerta di ribasso pari a 1,36 senza una formale verifica della congruità  dell’offerta da parte del RUP (responsabile unico del procedimento) ma soltanto una formale presa d’atto della relazione di congruità , priva di ogni documento giustificativo, della ditta aggiudicataria. Inoltre specifiche ditte, con modestissimi ribassi si sarebbero aggiudicate appalti di opere pubbliche particolarmente onerose , tutte ditte che vedevano parenti o amici fidati del defunto sindaco in qualità di soci e rappresentavano uno strumento finalizzato a dividersi i proventi degli appalti e, non è un caso, che gli imprenditori facenti capo a tali ditte, nonché alcuni dipendenti delle stesse,  erano non solo in stretto legame con l’ex sindaco, parentale o amicale, ma risultano essersi adoperati in suo favore anche durante le ultime elezioni amministrative. L’organo ispettivo ha poi registrato particolari irregolarità quanto al trasporto minori e adulti disabili, servizio gestito dalla medesima ditta fin dal 2004-2005 con affidamenti diretti, dal 2007 al mese di ottobre 2017 mediante due gare aggiudicate con un ribasso dell’1,20% con una continuità nel rapporto da circa 15 anni; a ciò si aggiunga che un socio è stato arrestato per reati connessi agli stupefacenti, mentre l’altro risulta con pregiudizi penali ed entrambi sono imparentati con un assessore e consigliere di maggioranza. A ciò si aggiunga che detta società ha inoltre la sede allo stesso indirizzo in cui ha sede lo studio di ingegneria presso il quale esercita la propria libera attività professionale il fratello dell’ingegnere responsabile dell’ufficio tecnico comunale. Quanto al piano urbanistico comunale lo stesso è stato redatto da professionista esterno e adottato con delibera del 31/5/2017 con le misure di salvaguardia entrate in vigore dal 5 giugno 2017. Un esposto pervenuto alla Prefettura di Napoli già nell’ottobre 2014 in relazione al piano urbanistico comunale aveva già evidenziato gli interessi relativi alla realizzazione del PUC da parte di persone legate al deceduto  sindaco finalizzati a rendere edificabili i propri terreni agricoli nonché di alcuni assessori. Gli accertamenti svolti dall’arma dei carabinieri avevano confermato le parentele denunciate nell’esposto e ciò nonostante l’amministrazione comunale aveva perseverato nell’iter sopra delineato tanto è vero che , nell’ottobre 2017, veniva presentato alla Procura della Repubblica un ulteriore esposto nel quale si segnalava che con il nuovo documento di programmazione urbanistica sarebbe stata premiata proprio quella parte di elettorato fedele alla maggioranza consiliare. Si denunciava inoltre che il piano urbanistico comunale avrebbe riservato alla successiva fase dell’osservazione una certa percentuale di zona di intensificazione e completamento quale merce di scambio con quei cittadini disposti a versare una tariffa ben determinata a tutto vantaggio dei consiglieri di maggioranza per la qualificazione edificatoria dei propri terreni. Significativa è anche la vicenda collegata al cimitero sussistendo particelle di terreno su cui insiste manufatto abusivo destinato a capannone; il progetto di spostamento della struttura cimiteriale ha avvicinato il cimitero alla proprietà dei Cesarano (operanti nel settore delle pompe funebri) ed invero il comandante della polizia municipale depositava nel dicembre del 2014 alla locale Procura della Repubblica un’informativa in cui evidenziava l’inclusione nel piano urbanistico comunale di lotti di terreno con abuso edilizio di proprietà della società di famiglia ampiamente nota per l’attività imprenditoriale legata alle pompe funebri e per i rapporti col sodalizio criminale Polverino insistente nell’area di Calvizzano.
La commissione d’indagine ha rilevato la volontà dell’amministrazione di favorire, con lo strumento di pianificazione urbanistica comunale, la famiglia di imprenditori, già titolare dell’omonima agenzia funebre e braccio imprenditoriale del clan Orlando, con conseguente sensibile aumento delle superfici edificabili oltre che l’evidente ulteriore favoreggiamento di avvicinamento del cimitero al capannone abusivo di loro proprietà. Inoltre molte particelle di terreno originariamente agricole sono state oggetto di significative variazioni urbanistiche nell’ambito del nuovo piano urbanistico comunale, risultando costituire un’unica vasta area di sviluppo industriale con evidenti e palesi effetti sul futuro incremento di valore di mercato dei terreni; tanto è vero che l’organo ispettivo ha delineato la creazione di un vero e proprio cartello dove promotori sono gli esponenti del sodalizio tra amministratori locali, imprenditori e soggetti di spicco della criminalità organizzata locale. La commissione ha anche evidenziato l’assenza di un atto di indirizzo in materia di controllo dell’abusivismo. Nel periodo 2013-2017 sono state emesse solo 21 ordinanze di abbattimento cui sono conseguiti 14 verbali di accertamento di inottemperanza, cui non ha fatto seguito alcun abbattimento. Il comune si è limitato a inoltrare solo le richieste di finanziamento per l’abbattimento di altrettanti manufatti abusivi, istanze avanzate solo a seguito dell’insediamento della commissione d’indagine sebbene gli abusi fossero pregressi. Peraltro il comandante della polizia municipale presentava alla locale Procura un esposto ove si ipotizzava la realizzazione di lottizzazioni abusive in zona agricola vincolata con l’intento di sanarle in sede di redazione ed approvazione del piano urbanistico comunale a vantaggio di soggetti legati alla criminalità organizzata locale.
Si è inoltre accertato il mancato pagamento di tributi da parte di numerosi soggetti riconducibili alla  criminalità organizzata, unitamente alla mancata adozione di provvedimenti tendenti al recupero dei crediti nei riguardi degli stessi, alcuni dei quali raggiunti da sentenze definitive per reati associativi contigui ai clan camorristici Polverino Orlando . Tanto premesso sul sistema Calvizzano, appare doveroso passare all’esame delle singole posizioni  Lorenzo Grasso, sindaco FF dal 26.7.17, succede al sindaco Salatiello del quale era vicesindaco dal 9.1.17 con delega anche all’assessorato al piano urbanistico comunale , toponornastica, spazi sosta, edilizia residenziale pubblica. Il Collegio rileva che la relazione prefettizia ha accertato che il Grasso nel febbraio 2013 è stato controllato da personale della locale Stazione Carabinieri, all’interno del circolo ricreativo in Calvizzano, in compagnia di soggetto pregiudicato, fratello del defunto referente sul territorio di Calvizzano del clan Polverino) peraltro in compagnia di altro assessore; ancor più grave è che lo stesso non disdegnava oltre che la frequentazione di pregiudicati per reati di detenzione di stupefacenti, nell’aprile del 2010 di prendere in locazione a Calvizzano alcuni locali per uso ufficio, proprio di proprietà di soggetto orbitante  nell’area delinquenziale del clan Polverino.   Il collegio, in ossequio ai principi in premessa indicati, doverosamente, anche alla luce delle prospettazioni difensive, rileva che certamente non può attribuirsi efficienza causale, ai fini che rilevano in questa sede, ad un unico episodio in cui il Grasso veniva controllato all’interno di un circolo ricreativo, ovvero in un locale aperto al pubblico, verosimilmente frequentato da un numero elevato di soggetti.
Né tanto meno ritiene di attribuire valore pregnante al contratto di locazione stipulato nel 2010 atteso che, come asserito dal Grasso,  in quell’occasione, veniva stipulato un contratto di locazione regolarmente registrato in linea con i prezzi di mercato in relazione alle caratteristiche del locale che veniva scelto dal Grasso in quanto ubicato a poche decine di metri da quello ove già veniva svolta l’attività di investigazione  in precedenza .    Ciò che rileva tuttavia è che lo stesso era stato individuato dal Sindaco tra i componenti della giunta comunale in qualità di vicesindaco, nella verosimile certezza che avrebbe, se non condiviso, non ostacolato la mala gestio ; invero il vicesindaco ai sensi del Decreto Legislativo n.267/2000, art.46,e 53 ha la funzione di supplenza dello stesso  in caso di sua assenza, impedimento temporaneo o sospensione dall’esercizio della funzione; per non tacere poi del fatto che il Grasso ha svolto le funzioni di sindaco per ben 9 mesi durante i quali  – non ha esercitato alcuna verifica dei profili di legittimità della gestione politico-amministrativa dell’ente , non ha esercitato i poteri di vigilanza, controllo e verifica attribuitigli dalla legge; – non ha modificato alcunchè nelle procedure di appalti pubblici che registravano le gravi irregolarità sopra indicate; – non ha attivato alcuna inchiesta interna di fronte alle gravi irregolarità sopra delineate contribuendo pertanto all’immobilismo della macchina amministrativa che ha determinato l’ingerenza del malaffare.  In sintesi, da quanto esposto si evince che il Grasso abbia con il suo immobilismo  favorito gli interessi del più volte citato gruppo criminale, tenendo condotte, benchè omissive, causalmente efficienti rispetto allo scioglimento del Comune. Invero la pervasività della camorra nel tessuto comunale e l’adozione di scelte politiche e amministrative condizionate e ispirate dalla locale cosca, sono state infatti garantite anche dalle condotte poste in essere dal Grasso in perfetta continuità con la gestione del defunto Salatiello; si registrano pertanto a suo carico elementi concreti, univoci e rilevanti che hanno, di fatto, alterato il buon andamento e l’imparzialità della conduzione della res publica, provocandone un sostanziale sviamento. D’altronde il resistente, ritualmente costituitosi in giudizio, ha contestato gli addebiti a lui mossi rappresentando la non significatività delle circostanze del controllo di polizia e del contratto di locazione;  ha rappresentato che il piano urbanistico, in corso di approvazione definitiva secondo regolare procedura, ancora doveva essere trasmesso alla città metropolitana di Napoli direzione urbanistica per la valutazione di competenza e che, solo dopo tali ulteriori controlli, il consiglio comunale avrebbe potuto procedere all’approvazione definitiva.
Non ha offerto tuttavia la prova di condotte attive, concrete, incisive, assunte in rottura con la gestione Salatiello . Ne consegue quindi l’accoglimento del ricorso nei confronti di Grasso , che non potrà esser candidato alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento e alla presente pronuncia, una volta divenuta definitiva. In ordine alla posizione di Antonio Ferrillo Assessore alla programmazione finanziaria dal 6 giugno 2013 fino al 23 giugno 2015 e poi consigliere di maggioranza, la relazione prefettizia ne mette in rilievo la scomoda parentela (invero il figlio, già autista e guardaspalle di pregiudicato, veniva arrestato il 3.4.07 per tentato omicidio in concorso e ripetutamente controllato con pregiudicati) ed i ripetuti controlli in compagnia di pregiudicati ritenuti vicini al clan Polverino.
Non si evince pertanto in alcun modo la condotta imputabile al resistente e soprattutto, per ciò che interessa il presente giudizio, quale sia l’incidenza dell’asserita condotta in relazione alle cause di scioglimento del Comune. Gli elementi riportati nella relazione non rivestono, per la loro estrema laconicità e genericità, alcuno dei requisiti minimi necessari a fare ritenere che lo stesso abbia, in qualche modo, concorso a dare causa allo scioglimento del consiglio comunale. Si ribadisce, secondo i principi esposti in premessa, che i rapporti di parentela, per quanto stretta,  tra amministratori ed esponenti della criminalità non possono costituire ex se elemento indicativo di un collegamento, rilevante ai sensi dell’art. 143, e, pertanto, in assenza di qualsiasi ulteriore dato oggettivo di supporto, non possono giustificare la pronuncia invocata. Consegue da quanto esposto che la domanda nei confronti di Antonio Ferrillo va rigettata. Quanto alla posizione di Antonio Di Rosa – Assessore alla tutela dell’ambiente, gestione dei rifiuti, isola ecologica, raccolta differenziata, gestione rete idrica, verde pubblico, area palmentata e regolamentazione urbana dal 2013 sino al 23 giugno 2015, vicesindaco dal 10 aprile 2014 al 23 giugno 2015 e poi consigliere di maggioranza – si osserva che nel luglio 1986 è stato tratto in arresto per  associazione a delinquere c violazione della legge sugli stupefacenti, e, in data 11 aprile 1990, è stato iscritto net registro notizie di reato per associazione a delinquere di tipo mafioso ed estorsione. Inoltre nell’agosto del 1992 é stato destinatario di un provvedimento questorile di divieto di ritorno in alcuni comuni ubicati fuori regione.
Nel giugno 2002, la Corte d’appello di Napoli ha emesso nei suoi confronti una sentenza di condanna per tentata estorsione aggravata. Nel luglio 2017 – nell’ambito dell’indagine condotta dalla DDA della Procura di Napoli che ha portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di undici persone ritenute affiliate ai clan Orlando NuvolettaLubrano, per il reato p e p dall’art 416 bis cp – lo stesso risulta indagato a piede libero per il reato p e p dagli art 110 e 629 cp con l’aggravante del metodo mafioso (art. 7, legge L 203/9l); invero negli atti di indagine il Di Rosa, con interessi nel settore imprenditoriale dell’edilizia, risulta un assiduo frequentatore degli Orlando e delle consorterie mafiose maranesi loro collegate e per l‘effetto  soggetto di riferimento del clan presso l’Amministrazione comunale; il quadro indiziario invero già induceva il Di Rosa a presentare le dimissioni. Non può che accogliersi in questa sede la domanda proposta nei confronti del DI Rosa e ciò, non già in ragione dei precedenti penali risalenti nel tempo, bensì in ragione dell’attuale collegamento con le organizzazioni operanti sul territorio. Ciò è comprovato dalle frequentazioni con esponenti del clan e soprattutto del fatto che il Di Rosa – nel suo ruolo di assessore alla tutela dell’ambiente, gestione del rifiuti, isola ecologica, raccolta differenziata – ha in prima persona concorso alla gestione del settore secondo criteri di favoritismo e non trasparenza, secondo procedure di appalti pubblici che registravano gravi irregolarità nei termini sopra indicati (fl12/13),  così favorendo gli interessi del gruppo criminale operante sul territorio e tenendo, pertanto, condotte causalmente efficienti rispetto allo scioglimento del Comune.
Quanto a Maria Luisa Ferrigno (assessore all’istruzione, edilizia scolastica, trasporto scolastico e mensa scolastica dal 2013 ad oggi) il Collegio reputa di non attribuire alcun rilievo alla riferita circostanza dei controlli a carico del marito in compagnia di soggetti gravati da precedenti di polizia, tanto in ragione della genericità di quanto riferito, peraltro in relazione al marito e non già alla Ferrigno ( si rimanda sul punto anche ai certificati penali e dei carichi pendenti prodotti, allegati 7 della produzione di parte convenuta). Né ritiene di attribuire rilievo alla condotta tenuta dalla stessa in occasione della elaborazione del PUC , la cui procedura di approvazione è ancora in itinere. Tuttavia non si può non rilevare il ruolo ricoperto dalla Ferrigno in un settore dove la commissione prefettizia ha registrato gravi irregolarità in ordine al servizio di trasporto minori ed adulti disabili. E’ indubbio che è oltremodo censurabile la condotta della Ferrigno – nominata assessore nel giugno 2013  quando era ancora vigente il contratto di appalto (quinquennale dal 29.9.11 al 29.9.16) con la ditta Co.Git. trasporti sas di Paolone Pasquale –; invero sotto la sua reggenza si prorogava , nelle more della procedura ex art 36 d.lvo 50/16, alla predetta ditta il servizio (vedi proroga del 29.9.16 nelle  more dell’espletamento di idonee procedure di gara ); seguiva l’affidamento diretto alla COGIT  del servizio in oggetto  in data 26.4.17 per mesi due  e in data 11.7.17 per mesi tre ex art 36 D lvo 50/16  a seguito di una sola disponibilità al servizio manifestata esclusivamente dalla medesima ditta, la quale senza soluzione di continuità ha gestito lo stesso per circa 15 anni; tanto basta! A prescindere dalla circostanza – che avrebbe potuto anche ignorare la Ferrigno benchè certamente Calvizzano è un comune di piccole dimensioni e la stessa ivi risieda – che i soci della Co.GIT  – pregiudicati e cognati di altro consigliere di maggioranza – avevano fissato la sede della società al medesimo indirizzo in cui ha sede lo studio di ingegneria ove presta servizio il fratello dell’ingegnere responsabile dell’UTC , al quale – come accertato dalla relazione prefettizia – numerosi cittadini si rivolgevano per il perfezionamento di pratiche e istanze presentate all’ufficio tecnico comunale.
Anche ritenendo che tale ultima circostanza poteva essere ignorata dalla Ferrigno, tuttavia la anomala gestione di fatto sine die affidata alla COGIT (prima del suo insediamento  giusto contratto, dopo il suo insediamento in forza di proroga e dirette assegnazioni) avrebbe dovuto almeno indurre l’assessore ad assumere iniziative che garantissero, oltre che il contenimento della spesa, anche il rispetto dei criteri sanciti dall’art. 30, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016 e dall’art 36 co 1 come modificato dal d.lvo 56/16 entrato in vigore in data 20.5.17; Non ha garantito infatti il rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, nonché il principio di rotazione, in modo da assicurare l’effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese; le esigenze sottese alla rotazione trovano invero fondamento nella necessità di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento), soprattutto nei mercati in cui il numero di agenti economici attivi non è elevato (ex plurimis in questo senso TAR LAZIO, ROMA, SEZ. I sentenza 31 gennaio 2018, n. 1115  e CONS. STATO, SEZ. V, sentenza 13 dicembre 2017, n. 5854); infatti l’affidamento diretto è procedura caratterizzata dalla speditezza, che prevale sul rigido formalismo, ma non si pone certo come procedura in deroga rispetto ai principi sopra richiamati – compreso quello della rotazione – ; la Ferrigno sposando una condotta di colpevole continuità con la gestione pregressa al suo insediamento di fatto ha favorito gli interessi del gruppo criminale operante sul territorio in perfetta adesione con la gestione Salatielo/Grasso ben lontana dagli obbiettivi di buon andamento e imparzialità della conduzione della res pubblica. Pertanto la domanda nei confronti della predetta va accolta .  In ordine alla posizione di Maddalena Trinchillo, consigliere di maggioranza, si rappresenta che la relazione prefettizia si limita a prospettare la relazione di coniugio con soggetto denunciato nel 2002 per gioco d’azzardo e ripetutamente controllato  con persone gravate da precedenti di polizia. Non si rileva dalla relazione pertanto in alcun modo la condotta imputabile alla Trichillo non potendo assumere alcun rilievo in questa sede la denuncia del marito, risalente nel tempo, per reato contravvenzionale o la frequentazione, non meglio inquadrata nel tempo e nello spazio, con non meglio identificati soggetti gravati da non meglio precisati  precedenti di polizia, i quali ad abundantiam si evidenzia che sono ben diversi dai precedenti penali che conseguono solo all’accertamento di penale responsabilità. A iò si aggiunga che la Trinchillo asseriva di essere separata di fatto dal marito dal 2014.
Ne consegue, da quanto esposto, che la domanda nei confronti di Maddalena Trinchillo va rigettata. Le spese di lite, liquidate in dispositivo ai sensi del d.m. 55/2014 (calcolato secondo il valore medio dello scaglione di riferimento della volontaria giurisdizione in forza del rito camerale), nei rapporti tra parte ricorrente e LORENZO GRASSO , ANTONIO DI ROSA ,MARIA LUISA FERRIGNO, MADDALENA TRINCHILLO seguono la regola della soccombenza, e pertanto vanno poste a carico della parte rispettivamente soccombente sulla domanda proposta;  nei rapporti invece tra parte ricorrente e BORRELLI LUCIANO, ROBERTO VELLECCO, SANTOPAOLO GIUSEPPE ROCCO,  GIACOMO PIROZZI,  SEQUINO BIAGIO ,D’AMBRA MICHELE, ANTONIO DI MARINO e FLORA DEL PRETE non si adotta alcuna statuizione in ordine alle spese processuali che restano a carico della parte che le ha anticipate . Nulla infine sulle spese di lite nei confronti di FERRILLO ANTONIO non costituito, che non ha svolto alcuna attività difensiva.  pqm Il Tribunale di Napoli Nord, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando, così provvede: – accoglie parzialmente il ricorso, e per l’effetto dichiara LORENZO GRASSO ANTONIO DI ROSA e MARIALUISA FERRIGNO, incandidabili alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento del Comune di Calvizzano e alla presente pronuncia, una volta divenuta definitiva; – rigetta il ricorso nei confronti di ANTONIO FERRILLO, MADDALENA TRINCHILLO; – rileva la cessazione della materia del contendere nei confronti delle altre parti; – condanna LORENZO GRASSO ANTONIO DI ROSA e MARIALUISA FERRIGNO, al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano per ciascuno in euro 2225,00 per compensi, oltre rimborso spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A., come per legge; – condanna il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., al pagamento, in favore di MADDALENA TRINCHILLO, delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in euro 2.225,00 per compensi, oltre rimborso spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A.
© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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