Sant’Antimo. L’urbanistica, le speculazioni e lo sviluppo futuro del territorio. Temi da affrontare con urgenza

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A distanza di decenni, come nel film Le mani sulla città di Francesco Rosi, la politica italiana continua ad essere al servizio della speculazione edilizia, che tanti guasti ha prodotto nelle nostre città, lasciando segni indelebili. Purtroppo, anche la storia di Sant’Antimo è stata segnata da speculazioni edilizie e dallo strapotere della rendita. Non è possibile raccontare tutte le vicende di un paese che, nelle sue ville storiche, conserva le vestigia di un importante passato, ma e’ necessario soffermarsi, almeno brevemente, su alcuni aspetti economici, che ci aiuteranno a comprendere lo stretto rapporto tra il disordinato sviluppo del territorio e la sua attuale crisi.

Con delibera di Consiglio Comunale numero 65 del 18/11/2013 è stato dato incarico al VII Settore Urbanistica / Edilizia privata di redigere il nuovo Piano Urbanistico Attuativo della Zona Territoriale Omogenea “D”, destinata secondo il Prg del 1977 all’insediamento di impianti industriali medio/grandi, ma poi sviluppatasi attraverso frazionamenti in lotti di minore consistenza, idonei agli insediamenti produttivi di dimensioni medio-piccole di carattere artigianale e commerciale.

Lo scopo del PUA e’ quello di regolamentare l’attività edificatoria nell’area interessata, razionalizzando la distribuzione e lo sviluppo delle attività produttive. Inoltre, il PUA dovrebbe guardare, principalmente, alle realtà produttive e commerciali presenti sul territorio dell’area, con particolare attenzione al settore import-export. Ma nei fatti? La rendita continua ad essere la vera responsabile della bassa crescita del nostro paese, poiché sottrae risorse importanti agli impieghi produttivi per destinarle a finalità speculative. Nell’area in questione sussistono edifici nati come opifici per la segagione e col tempo divenuti scuole per l’infanzia e centri commerciali di alta moda cinese. E’ riscontrabile una concentrazione di uffici seconda solo al centro direzionale di Napoli e, per fortuna, risulta insediato ancora qualche complesso artigianale e qualche grosso complesso industriale.

Mancherebbe, al momento, solo una struttura di ricovero per anziani, ma sembra che in via degli Oleandri si debba fare e si farà, anche se negli uffici della Regione sono ancora in tanti a chiedersi come potrebbe collocarsi un albergo per anziani tra insediamenti industriali.

Tutto ciò,  considerata l’assoluta mancanza di standard infrastrutturali compatibili, ha determinato una commistione di destinazioni urbanistiche tra loro contrastanti tipica dei paesi sottosviluppati, che si ripercuote sotto il profilo dell’affollamento, del traffico, dell’inquinamento acustico, ambientale e della sicurezza, essendo divenuta la zona location di casting di ex registi porno, una piazza di spaccio e di sviluppo del commercio delle “mestieranti piu’ antiche del mondo”.

Queste cose, purtroppo, accadono quando il progetto urbanistico smarrisce il senso critico, quando non e’ strumento di realizzazione degli interessi di una comunità e si riduce a pianificare il nulla. Una operazione di razionalizzazione e di sviluppo, che e’ alla base del Pua, non può e non deve mai configurarsi come un abitino cucito da un abile sarto sugli interessi di pochi, ma deve connotarsi come progetto efficace, che mobilita competenze, risorse, conoscenze, confronto di esperienze attraverso processi di cooperazione e condivisione. A Sant’Antimo, pur nell’ottica di un comprensibile ammodernamento, il Pua con un Prg, vetusto e sfregiato, non ha ragione d’essere.

Tanto più se si interviene solo per favorire i soliti, forse anche a discapito di chi vorrebbe effettivamente investire. Il consigliere Giuseppe Italia, candidato sindaco della lista DeMa, ha denunciato pubblicamente particolari spostamenti chirurgici operati con il PUA in via degli Oleandri,  vincolando a parcheggi aree precedentemente destinate alla realizzazione di capannoni industriali.

Grave è stato, quindi, il tradimento non solo della politica, ma dello Stato, poiché persino i commissari prefettizi, in alcuni casi hanno preferito non guardare e non intervenire negli interessi di parte concentrati nella zona industriale di Sant’Antimo. In questi anni, all’inverso, c’è’ stata una totale assenza di politiche tese al recupero del centro storico con la conseguenza della chiusura dei negozi o la messa a rendita con attività di extracomunitari.

Un comunità, quando abbandona il centro, rischia di perdere la propria identità. In realtà, i problemi del centro storico sono antichi e diversi, ma c’è un elemento comune, che tutti li lega e li connette: il costante disinteresse della classe politica locale per un pezzo di città soggetta a vincoli urbanistici e architettonici su cui non e’ possibile mettere le mani.

Il centro storico, cosi’, non è più il centro della città, ma comincia a somigliare a una mezza periferia. Bisogna seriamente iniziare a riflettere sul prezzo che paga il paese a causa di queste dinamiche in termini di sviluppo e di disoccupazione. Sant’Antimo, non a caso, e’ tra i Comuni della Campania con i redditi pro capite piu’ bassi e con livelli critici di disoccupazione. Una disoccupazione così vasta, che può essere riassorbita, in tempi decenti e non geologici, soltanto attraverso processi di rendustrializzazione del territorio.

Si tratta di un bisogno ineludibile, ma è una prospettiva plausibile? Forse no, anche perché “il nesso tra sviluppo della rendita e mutazione della classe politica è largamente sottovalutato sul piano teorico, nonostante l’abbondanza di dati empirici che ne segnalano la rilevanza”. Un osservatore acuto come Giulio Sapelli ne ha fornito una chiave interpretativa originale: “La maggioranza delle classi politiche attinge dal territorio, e non più dallo Stato centrale, le risorse economiche del suo ciclo vitale. Passato il tempo delle industrie e delle banche pubbliche nazionali, rimangono i monopoli e gli oligopoli locali non quotati in borsa e non sottoposti alle regole di governance.

Lo chiamo neopatrimonialismo partitocratrico e ne temo gli esiti, a cominciare dal discredito, che getta sull’esercizio stesso della politica”. Che piaccia o meno questo è lo stato dell’arte. Qualsiasi idea e proposta di futuro non dovrebbe ignorare queste condizioni e dovrebbe partire da un dato: abbiamo perso anni, finendo sempre più in basso. E mano a mano che si scende diminuiscono anche le risorse per risalire e si viene risucchiati sempre più in giù.

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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