Gentile dottore, sono un uomo maturo, con due matrimoni alle spalle, e mi trovo oggi al bivio. Dopo aver cresciuto i miei figli, curati ed amati nonostante le separazioni, sono costretto sulla soglia dei 60 anni a decidere di lasciare la mia attuale compagna, mia coetanea e con cui vivo da qualche anno. La causa di tutto è il cattivo rapporto con suo figlio. Il ragazzo ventisettenne vive con noi; il nostro rapporto è sempre stato molto teso, ma di reciproca sopportazione, ultimamente però si sta inasprendo, rendendo difficile io quasi impossibile la convivenza. La sua indolenza, la sua pigrizia, l’abitudine di rivolgersi alla madre sempre in modo irrispettoso, hanno profondamente compromesso la serenità di tutti; sono particolarmente deluso anche della mia compagna, che mostra di essere una madre debole, insicura, che si lascia sopraffare da un figlio viziato, che ha impiegato 9 anni per terminare una laurea triennale, che scambia il giorno con la notte, che pretende di essere mantenuto con auto e soldi da spendere ogni giorno, senza nemmeno sentire il bisogno di ringraziare. La madre lo difende, io mi privo di parlare per non litigare, ma il clima in casa è tale da farmi pensare di annunciare la mia resa: vado via. Con grande dispiacere e considerando anche che non stimo una donna che non è consapevole che l’ attaccamento morboso al figlio danneggia il suo futuro di uomo. Possibile che le madri debbano sempre avere gli occhi “foderati di prosciutto” e soprattutto con i maschi non riescono a essere sufficientemente ferme?
Claudio (Ercolano)
Alcuni giorni fa i quotidiani hanno pubblicato la foto di un bambino nato nel campo profughi ai confini tra Grecia e Macedonia, in condizioni talmente improbe da rendere ancora più profondo il mistero della vita. Una foto che ha catturato il nostro sguardo empatico, non giudicante, ma preoccupato, e pieno di sensi di colpa, se rivolto al futuro di questa creatura che prepotentemente ha mostrato la sua determinazione a viver. Uno sguardo attento e preoccupato che andrebbe rivolto anche agli adolescenti o i tardo adolescenti, che prolungano la loro permanenza nel mondo ovattato e protetto della famiglia. Il nichilismo che manifestano, la mancanza di responsabilità, esigerebbe risposte da più ambiti, soprattutto da quelli istituzionali della famiglia e della scuola, per evitare di soffermarsi al pregiudizio. Solo uno sguardo non giudicante, rivolto alla persona nella sua interezza, ci può consentire di com-prendere l’altro, anche in virtù della sua storia, per considerare l’”inciampo” come presupposto fondamentale per la propria riuscita. Un abbandono, un lutto, sono condizioni determinanti per la possibilità esistenziale dell’individuo, per tale motivo gli insuccessi andrebbero osservati nella loro globalità.
Laddove ci si trova di fronte a separazioni non avvenute, a tempi prolungati nel limbo familiare, vengono fuori sempre bisogni reciproci, “sfamati” dalla presenza dell’altro. Spesso questi bisogni sono alimentati da traumi non elaborati, che accompagnano il vissuto delle persone coinvolte. Winnicott parlava di madre “sufficientemente buona” riferendosi a quella che riesce a conservare anche la prerogativa di donna oltre a quella di madre, approfondendo poi il concetto di separazione come presupposto fondamentale per una sana reciprocità. Laddove non vi è separazione, anche l’assenza della figura paterna può incidere, poiché essa si manifesta simbolicamente come inconsistenza. Un padre è colui che pone il limite, è il detentore della legge che si inserisce a mostrare l’impossibilità che tutto sia consentito e permesso. Quindi una genitorialità deve poter fare affidamento su entrambi i genitori, sinonimo dell’eredità lasciata come passaporto per la libertà: i genitori sono sempre adottivi, nel senso che ci si prende sempre cura dell’adozione di un altro, senza limite di età; anche un ragazzo di 27 anni può essere considerato nel suo essere adottato, se solo ci si sofferma a guardarlo, accompagnandolo con uno sguardo benevolo e non giudicante.
Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta
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