Biancofiore: “A Pisa eseguiti 13 trapianti di fegato senza sangue su testimoni di Geova”

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Che si tratti di effettuare un trapianto o un intervento, credo che la chirurgia che non preveda l’utilizzo del sangue sia un obiettivo cui la medicina deve sicuramente mirare. Purtroppo accade ancora molto frequentemente in tutti gli ospedali d’Italia che si cancellano interventi su pazienti oncologici per scarsa disponibilità di sangue al centro trasfusionale. Per scongiurare questa ipotesi, la chirurgia bloodless, già presente a macchia di leopardo in Italia, dovrebbe essere istituzionalizzata e riguardare il maggior numero possibile di ospedali sul nostro territorio nazionale’. Lo spiega all’agenzia Dire il professor Giandomenico Biancofiore, che dirige l’Unità Operativa Complessa di Anestesia e Rianimazione dei Trapianti dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e professore associato di Anestesiologia e Rianimazione presso l’Università di Pisa. Biancofiore, 61 anni, da oltre 25 opera con l’impiego di strategie alternative alle Emotrasfusioni, il cosiddetto Patient Blood Management (PBM).

Spesso si pensa che grandi interventi come i trapianti di organi importanti, proprio come il fegato, non siano possibili senza sangue o siano di difficile esecuzione. ‘Da un punto di vista generale tutti gli organi possono essere trapiantati senza fare ricorso all’uso del sangue’. Il professor Giandomenico Biancofiore aggiunge che ‘tutto dipende dal combinato disposto tra la complessità del malato e la laboriosità dell’intervento. Mi spiego meglio: da un punto di vista tecnico e operativo l’intervento più semplice è il trapianto di rene. Ma, il trapianto di rene, eseguito in un candidato complesso come può essere un paziente anziano, cardiopatico, diabetico e con tanti anni di dialisi alle spalle, può risultare un intervento molto impegnativo. Quindi, anche lì emerge la capacità dell’equipe, del gruppo di lavoro, di selezionare il malato giusto per quell’intervento’.

Il candidato all’intervento che entra in questo percorso, viene seguito periodicamente dallo specialista, che controlla i valori dell’emoglobina e gestisce la terapia a seconda delle necessità. Poi c’è la fase intraoperatoria, che è essenzialmente una questione di capacità tecnica chirurgica e anestesiologica.
Ci deve essere un bravo chirurgo che stia attento all’emostasi e che quando vede che c’è anche una piccola perdita di sangue, la gestisce subito in senso emostatico e, allo stesso tempo, l’anestesista deve fare bene il proprio lavoro, quindi mantenendo determinati parametri vitali come ad esempio la
temperatura corporea e l’equilibrio acido-base del sangue. È un lavoro d’equipe, in cui si parla molto l’uno con l’altro’.

Fonte Dire

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TERRANOSTRA | NEWS
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