Marano, spari al corso Europa: parla l’uomo ferito da Pietropaolo. “Non è vero che ero in debito con lui”

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E’ stato dimesso poche ore fa dall’ospedale di Giugliano, dove è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico. Un’operazione al femore lesionato a causa del colpo d’arma fuoco esploso dal suo socio, Serafino Pietropaolo, in carcere da due settimane. Sergio Coppeto, l’imprenditore maranese ferito al corso Europa, ha deciso di raccontare la sua versione dei fatti. Ha scelto il nostro giornale per rispondere all’uomo che è andato ad un passo (questioni di millimetri, dicono i medici) dal togliergli la vita.

Pietrapaolo, subito dopo l’arresto, aveva raccontato ai carabinieri di Marano di essere in credito (più di 100 mila euro) con l’uomo con cui aveva avviato alcune attività imprenditoriali. Una versione che viene però confutata da Coppeto.

“Conosco Serafino da molti anni, quasi dieci per l’esattezza – racconta Coppeto –  La nostra è stata inizialmente una grande amicizia, solo in un secondo momento siamo diventati soci in affari. Un anno fa decisi di avviare un’attività commerciale ad Ischia, un bar per la precisione. Pietropaolo mi diede una mano, mi prestò anche del denaro: 24 mila euro, che ho provveduto non solo a restituire, come confermano gli assegni emessi e di cui vi mostro copia. Oltre quei soldi gliene diedi altri 13 mila, me li avevi chiesti e non seppi dire di no. A dire il vero – aggiunge Coppeto – non mi sono mai sottratto alle sue richieste; se aveva bisogno di aiuto non mi sono mai tirato indietro. A settembre scorso decidemmo di rilevare un bar a Marano, nella zona del Poggio Vallesana, era un investimento che volevamo fare per sistemare i nostri rispettivi figli. Il bar, dove poi lo hanno arrestato, era intestato a mio figlio, ma fin dal primo giorno mi accorsi che le cose non andavano come dovevano. C’era uno strano viavai nel locale, fin dal primo giorno, e Serafino, ogni giorno, prelevava ingenti somme dalla cassa per darle a persone che si presentavano alla cassa. Era un continuo, insomma”.

Coppetto teme che l’attività vada a rotoli e per questo decide di uscire fuori dall’affare.

“Chiamo Serafino e gli dico che non piace l’andazzo, che così facendo avremmo rischiato il ritiro delle concessioni per il gioco o per la vendita delle sigarette. Gli dico chiaramente che sono intenzionato a cedergli il locale. Tutto questo dopo solo sette giorni di apertura. Gli faccio notare che, continuando in quel modo, si sarebbe indebitato in modo irreversibile. Pattuimmo allora una cifra di 2mila euro al mese per quindici mesi: era il prezzo della ceditura che gli avevo chiesto. A quel punto – aggiunge Coppeto – modifichiamo anche l’intestazione della società. Mio figlio, intanto, continua a lavorare per lui e io, nonostante mi fossi chiamato fuori, continuo a prestare soldi a Serafino ogni qualvolta me li chiede o che lo vedo in difficoltà”.

Il giorno in cui Serafino spara a Coppeto.

“Mi chiama di buonora, mi chiede ancora una volta soldi, denaro. Gli dico che ci saremmo potuti incontrare. L’appuntamento è in un garage poco distante dal luogo in cui sono stato colpito. Serafino era pallido in volto, continuava a ripetere di essersi rovinato la vita. Lo invito a calmarsi, gli prometto che appena avrei venduto il bar ad Ischia gli avrei prestato qualcosa. Lo porto in un bar del corso Europa, volevo offrirgli una camomilla, speravo di calmarlo. Avrei voluto persino portarlo a casa, niente faceva presupporre che mi avrebbe sparato. Ci incamminiamo poi verso la zona dove sono stato colpito. Mi chiede una sigaretta, il tempo di frugare nelle tasche e arriva anche lo sparo. L’idea che mi sono fatto? Serafino era in grande difficoltà, forse doveva restituire un’importante somma a qualcuno e ha pensato che con quel gesto poteva tirarsi fuori dai guai. Non è assolutamente vero che gli dovevo dei soldi, non posso consentire che venga infangato il mio nome, la mia reputazione. Ho rischiato di morire e se sono vivo è per pure fatalità. Sono stato per giorni ricoverato al San Giuliano, nel reparto di ortopedia, dove ho riscontrato tanta professionalità. Ho una prognosi di 60 giorni e non voglio che il mio nome sia associato a situazioni strane né tanto meno ai debiti”.

 

© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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