Omicidio Candela, ecco i particolari dell’agguato. Il via libera del Barone e la sauna fatta dal Petruocelo

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Omicidio Candela, ecco cosa accadde e chi organizzò l’agguato. Secondo quanto ricostruito dai giudici della Dda di Napoli, l’esecutore materiale dell’agguato fu Giuseppe Simioli, alias ‘o petruocelo, all’epoca dei fatti (luglio 2009) entrato in conflitto con Candela, meglio noto come Peppe “tredicianni”. La decisione di ucciderlo fu assunta a Tarragona, in Spagna, dove soggiornava il capoclan Peppe ‘o barone e altri suoi sodali. Ad insistere per l’eliminazione di Candela fu – secondo il racconto dei pentiti – proprio Simioli. Il via libera fu dato dal Barone, prima in Spagna, e successivamente durante un summit che si tenne in via Viticella a Quarto.

Raffaele D’Alterio, alias lelluccio ‘a signurina, era l’uomo alla guida dello scooter che la mattina del 15 luglio del 2009 si diresse sul luogo dell’agguato; a procurare armi e mezzi e farli poi sparire Biagio Di Lanno, divenuto poi collaboratore di giustizia e che ha riferito anche sull’omicidio di “tredicianni”. Il mezzo fu rubato un anno prima, nel 2008, a Qualiano. A Calvizzano, invece, furono acquistati i caschi indossati dal Petruocelo e da D’Alterio. Simioli, subito dopo l’agguato, si fece una sauna, su invito del Barone, per eliminare i residui da polvere da sparo. Lo racconta il pentito Roberto Perrone.

Ma perché fu ammazzato Candela? Nelle pagine dell’ordinanza firmata dal gip De Ruggiero si fa riferimento alle continue “lamentele” di Candela, di fatto estromesso da tempo da alcuni traffici, e dall’insofferenza di Giuseppe Simioli, che si lamentava con Polverino e con gli altri sodali del Barone dei comportamenti assunti, anche in pubblico, da Candela e dal fatto che non gli portasse rispetto. Raccontano i pentiti: “Candela si lamentava delle scelte operate dal clan e soprattutto del fatto che era stato costretto a vendersi il bar. Si lamentava anche in pubblico, persino all’esterno dell’American bar, zona frequentata dai nostri alleati: i Nuvoletta”.

Ad emettere la sentenza di morte fu, su invito di Simioli, Peppe Polverino. “Quando vengo Marano sistemo le cose”, sentenziò dal suo rifugio in terra spagnola. E così fu. Pochi mesi dopo le modalità dell’omicidio furono organizzate in una villa di Quarto, in via Viticella. Polverino, in quell’occasione, si rivolse in questo modo a Perrone, amico di vecchia data (erano stati in carcere insieme) di Candela. “So che ti dispiace perché siete amici, ma un provvedimento bisogna prenderlo”.

© Copyright Redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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