Prove tecniche di retromarcia. Renzi come Pinocchio sul referendum

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Foto LaPresse/ Alfredo Falcone 06-08-2016 Rio de Janeiro Copacabana sport ciclismo su strada Giochi Olimpici Rio 2016 - nella foto: Matteo Renzi Photo LaPresse/ Alfredo Falcone 06-08-2016 Rio de Janeiro Copacabana Rio 2016 Olympic Games - In the picture: Matteo Renzi
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Restare in sella fino alla fine, anche in caso di sconfitta. Con o senza dimissioni, magari con una nuova fiducia o un governo di scopo. In ogni caso, l’inizio di una marcia indietro. Poche parole di Renzi, più che mai sfuggenti, aprono scenari inediti sul destino del governo e dell’intera legislatura in caso di vittoria del “no” al referendum di ottobre: “Comunque vada si voterà nel 2018″. Parole scandite dal premier durante il suo intervento alla Versiliana cui non ha fatto seguito, come altre volte, l’impegno a dimettersi prontamente in caso di sconfitta. Anzi, a precisa domanda Renzi stavolta non risponde ma glissa. Una coincidenza, forse. Ma l’analisi politica porta a cogliere in quelle parole il segno di una posizione nuova del premier che pur di restare attaccato alla poltrona potrebbe davvero cambiare tutto, anche modificare radicalmente il copione della politica dei prossimi mesi e anni. Se di questo davvero si tratta, le ipotesi per raggiungere lo scopo di permanere a Palazzo Chigi o comunque segnare le sorti della legislatura sono diverse. Con diverse dosi di spregiudicatezza e di rischio.

Quella più radicale, condivisa dai maggiori quotidiani, fa pensare a una vera e propria retromarcia del premier. Per arrivare a “votare nel 2018″, in caso di sconfitta, Renzi potrebbe salire al Quirinale. Il presidente Sergio Mattarella, in assenza di un voto di sfiducia all’esecutivo, potrebbe rinviare il Presidente del Consiglio alle Camere dove potrebbe ottenere una nuova fiducia, magari sospinta dal timore di molti degli eletti di perdere la poltrona, oppure di consegnare la parola agli elettori e ritrovarsi poi un governo a Cinque Stelle.

Se così fosse, la vita del governo Renzi potrebbe proseguire – magari traballando – fino alla data auspicata. Questa ipotesi si fonderebbe sulla paura di perdere nelle urne e sulla sicurezza di avere i voti in Parlamento. Che arriverebbero anche a fronte di una sonora sconfitta. Sempre in caso di sconfitta, Renzi potrebbe non reggere la pressione delle opposizioni su Mattarella e cedere. Ma restando segretario del Pd, partito che alla Camera ha la maggioranza, potrebbe ridare le carte per un nuovo governo, magari di transizione, sempre a trazione renziana, che guada la tempesta fino al 2018. O almeno abbastanza da mandare in porto la legge elettorale, magari riscritta proprio con le forze che sosterranno questo esecutivo “di scopo” o di “unità nazionale”. Centristi e centro destra ai quali ieri, forse non ha caso, ha riservato molte cortesie, compresa l’autocritica per conto del centrosinistra alla vigilia del vertice con Merkel e Hollande: “Abbiamo sbagliato a ridere di Berlusconi”.

Il Fatto Quotidiano

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