In Italia l’aborto volontario è stato legalizzato nel 1978 dopo accese discussioni in parlamento e nella società, stimolati dai movimenti di liberalizzazione delle donne.
In verità, l’aborto è sempre esistito: in Italia, negli anni precedenti la legalizzazione, le stime più attendibili si attestavano su 350 mila interventi l’anno, tutti clandestini.
Infatti, prima della legge, il Codice Rocco considerava l’aborto e la contraccezione come un delitto contro la stirpe. Pertanto chi lo praticava era punito con la reclusione fino a cinque anni e anche la donna poteva essere imputata del reato di aborto.
Chi non poteva portare avanti una gravidanza, era costretta a interromperla clandestinamente, affidandosi talora a inesperti che operavano senza le necessarie precauzioni di sterilità. Le stime sull’aborto clandestino erano dedotte anche dal numero di ricoveri per aborto in atto.
Infatti, chi praticava l’aborto clandestino, suggeriva alle donne di rivolgersi all’ospedale, in caso di complicazioni, dichiarando di avere un aborto in atto. Difatti, questo tipo di ricoveri si dimezzò immediatamente dopo la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza.
Però molte donne, per paura di andare incontro a conseguenze penali, si recavano in ospedale solo per complicanze estremamente gravi. Per questo motivo talora, giungevano all’osservazione del clinico in condizioni talmente disperate che non si poteva far altro che ricoverarle in rianimazione, dove vedevano la morte in pochi giorni.
Grazie a questa legge, qualsiasi donna che non possa portare avanti una gravidanza, per motivi di salute, economici, sociali o familiari, ha il diritto di richiedere e ottenere l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) entro i primi 90 giorni di gestazione.
Superato i primi tre mesi di gravidanza, la legge consente ancora 180 giorni per l’interruzione ma solo su indicazione medica e per grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Pertanto, in questi casi, l’interruzione volontaria di gravidanza è come una qualunque terapia (aborto terapeutico) e la gravida sarà sottoposta a tutti gli accertamenti sanitari e consulenze specialistiche di cui il ginecologo avrà bisogno. Non tutti sanno però, che la legge 194 del 1978, non disciplina solo l’accesso all’interruzione di gravidanza ma racchiude una serie di norme per la tutela sociale della maternità.
Infatti, di là delle visioni ideologiche o religiose personali, bisogna innanzitutto comprendere, gli obiettivi della Legge 194/78:
- Ridurre il fenomeno dell’IVG
- Annullare i rischi per la salute collegati all’aborto clandestino;
- Avviare una politica per una maternità cosciente e responsabile.
- Favorire nel Paese la diffusione d’informazioni sulla procreazione responsabile.
Per verificare la corretta applicazione della legge, si è previsto un sistema di sorveglianza sanitaria e il Ministro della Salute ogni anno ha l’obbligo di presentare al Parlamento una relazione.
Tutto questo sistema di controllo aveva lo scopo di convincere chi, contrario alla legalizzazione dell’aborto volontario, riteneva che la “facilitazione” all’accesso all’interruzione volontaria, favorisse un maggiore ricorso all’aborto, quasi come se fosse un metodo contraccettivo.
Con questo sistema di sorveglianza quindi, frutto di tanti compromessi politico-sociali, si è potuto seguire l’andamento di quest’avvenimento della vita delle donne italiane, con una accuratezza che non si riscontra nel resto del mondo. Possiamo dire quindi, con estrema certezza, che dal 1981 a oggi il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) nel nostro Paese è ampiamente diminuito.
I dati più recenti, (2014) indicano che c’è stata una riduzione del 59% rispetto al 1982. Il tasso di abortività italiano è tra i più bassi dei Paesi industrializzati. Tra l’altro, c’è da dire che in Italia il 34% delle donne che interrompono la gravidanza è costituito da donne con cittadinanza straniera: cioè una su tre.
Se volessimo considerare le sole cittadine italiane, dovremo dire che il fenomeno dal 1982 al 2014 (anno dell’ultima rilevazione dati), si è ridotto del 70,9%.
Quest’andamento dimostra che il ricorso all’aborto non è mai stato una scelta di elezione ma sempre l’ultima alternativa. Ciò è dovuto specialmente all’impegno dei servizi preventivi, prima di tutto i consultori familiari e alla maggiore circolazione dell’informazione sulla contraccezione.
Possiamo quindi sperare che i servizi consultoriali, visto il ruolo positivo che hanno avuto nel prevenire il ricorso all’aborto tra le italiane, possano incidere favorevolmente anche sulle donne straniere, sollecitandole ad un discorso di consapevolezza e prevenzione delle gravidanze indesiderate, attraverso l’uso corretto di metodiche contraccettive. Difatti dagli ultimi dati rilevati, già si sta osservando una tendenza alla riduzione del tasso di abortività tra le cittadine straniere.
Purtroppo, nonostante la riduzione progressiva del numero d’interventi nel corso degli anni, solo il 62,3% delle donne ottiene l’intervento entro due settimane dal rilascio del certificato. Il numero di donne che deve attendere due, tre e anche quattro settimane, anche se con notevoli differenze tra le regioni, è ancora troppo elevato.
Infatti, la piaga degli obiettori di coscienza, negli anni è andata sempre più aumentando. Volendo limitare la valutazione ai soli ginecologi, risulta che in media oggi, due ginecologi su tre sono obiettori di coscienza e in otto Regioni (Molise, Bolzano, Basilicata, Sicilia, Puglia, Campania, Lazio e Abruzzo) le percentuali di obiettori superano l’80%. Pertanto le donne spesso sono costrette a spostarsi in altre città per ottenere l’intervento.
Proprio nei giorni scorsi, infatti, si è letto del caso della città di Trapani, che per il pensionamento dell’unico medico non obiettore nell’ospedale cittadino, non riusciva più a garantire il servizio di IVG. C’è stato bisogno della protesta dell’Unione Donne Italiane e solo attraverso un accordo tra i primari di Ostetricia e Ginecologia degli Ospedali di Trapani e Castelvetrano Maltese si è riusciti a ripristinare il servizio, con il trasferimento di un medico non obiettore.
Sappiate che la legge prescrive che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono sempre tenuti ad assicurare l’espletamento degli interventi d’interruzione della gravidanza, anche se sono richiesti in misura ridotta.
Un’interruzione di gravidanza, effettuata in epoca precoce, comporta minimi rischi sanitari, però se viene effettuata in un’epoca gestazionale superiore alle 10 settimane, i problemi aumentano progressivamente. Pertanto, bisognerebbe sempre essere in grado di assicurare tempi rapidi.
Ogni occasione, dalla visita per il rilascio della certificazione al controllo post intervento, dovrebbe rappresentare per il sanitario un’opportunità per discutere di contraccezione, per prevenire il rischio di aborto ripetuto. Bisogna ritagliarsi lo spazio per discutere, con la donna e con la coppia, i motivi del fallimento del metodo impiegato.
Le donne dovrebbero essere avvertite che potrebbero concepire già dieci giorni dopo l’aborto.
Dovrebbero inoltre essere informate sulla prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale, inclusa l’HIV e sull’importanza dell’uso del preservativo per prevenire le infezioni sessualmente trasmesse, da usare anche se si adotta un altro metodo contraccettivo. Ogni donna ha la sua storia e i racconti dei loro vissuti sono veri e propri spaccati della realtà quotidiana. La scelta di abortire è sempre vissuta come dramma personale, mai affrontato in modo superficiale.
Nonostante i timori dei detrattori della legge, nella nostra realtà l’interruzione volontaria di gravidanza, salvo rarissime eccezioni, non è mai considerata un metodo contraccettivo di emergenza, ma una scelta difficile e sofferta.
Scegliere di interrompere la gravidanza rappresenta sempre un momento critico, con implicazioni psicologiche, etiche e religiose. Ci sono donne che cercano di cancellarne persino il ricordo e altre che, dopo anni, continuano a portarsi dentro un senso di lutto indelebile. Ogni donna ha la sua storia, ogni interruzione volontaria di gravidanza una sua motivazione.
Non importa se condividiamo o no: queste scelte richiedono sempre il massimo rispetto. Certi racconti, restano impressi come un pugno nello stomaco. Talora, questi concepimenti accidentali succedono in un momento di depressione, quando si vive un periodo di fragilità tale da fare abbassare la guardia: donne che stanno vivendo una crisi della propria relazione o che si stanno separando o che hanno appena avuto un lutto.
Talora, la gravidanza arriva quando sta accadendo un cambiamento importante nella propria vita. Nell’adolescente spesso è una richiesta d’aiuto e un campanello d’allarme di un disagio familiare. I sanitari che affiancano queste donne in questo difficile percorso, dovrebbero fornire non solo un supporto tecnico ma soprattutto un supporto umano e empatico a partire dal primo colloquio fino a dopo l’intervento. Il sanitario che assume quest’atteggiamento avrà l’opportunità di aprire un canale stabile con la donna.
Una donna che torna al consultorio per ricorrere di nuovo all’interruzione di gravidanza, in fondo, rappresenta un poco anche una sconfitta per tutta l’equipe sanitaria che l’ha seguita nel percorso precedente.
Riuscire a intercettare la donna e prenderla in carico, diventando un punto di riferimento non solo per l’espletamento delle procedure legate all’intervento richiesto ma anche per la gestione di tutte le altre esigenze connesse alla propria vita sessuale e riproduttiva, vuol dire essere riusciti a interpretare e centrare appieno gli obiettivi della legge.
Maria Rossetti, sessuologa e ginecologa
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