Messina Denaro al 41 bis, ora tocca ad altri super 4 latitanti

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Matteo Messina Denaro è stato arrestato e per lui sono pronte ad aprirsi le porte del carcere. “Al momento le condizioni sono compatibili con la detenzione in carcere. Ancora, in questo momento, non possiamo rispondere su quale sarà la struttura penitenziaria a cui sarà destinato Matteo Messina Denaro. Non abbiamo trovato un uomo distrutto, in apparente buona salute, ben curato. In linea con un uomo di 60 anni di buone condizioni economiche. Non poteva affidarsi a personaggi lontani dal contesto territoriale ma su questo stiamo procedendo ad approfondimenti investigativi” le parole del procuratore aggiunto Paolo Guido rispondendo alle domande dei cronisti nel corso della conferenza stampa per l’arresto del boss di Cosa Nostra. Come riferito è stato già proposto il 41 bis per il detenuto.

l procuratore della Repubblica di Palermo, Maurizio de Lucia, ha fornito ulteriori dettagli sull’arresto: “Senza intercettazioni non si possono fare indagini di mafia. Questa è stata una indagine che si è basata su spunti e approfondimenti investigativi, senza l’apporto di collaboratori di giustizia o soffiate anonime. Non abbiamo allo stato elementi sul complicità da parte del personale della clinica, i documenti che utilizzava ad una prima lettura sembrano autentici. Gli accertamenti d’altro canto sono appena partiti. L’uomo che lo accompagnava è, come si dice, un perfetto sconosciuto se non per l’omonimia con un altro soggetto noto invece alle cronache, si chiama Giovanni Luppino e al momento è stato arrestato con l’accusa di favoreggiamento. Matteo Messina Denaro non parla, indicazioni non ne ha date e fino a stamattina non sapevamo neanche che faccia avesse. L’obiettivo primario era per noi al cattura”.

Attilio Cubeddu, Giovanni Motisi, Renato Cinquegranella e Pasquale Bonavota. Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, restano quattro i super latitanti «di massima pericolosità» inseriti nella lista dei ‘most wanted’ stilata dal Viminale. Cubeddu, nome storico dell’Anonima sequestri sarda, nasce ad Arzana, in provincia di Nuoro, nel 1947 e dopo diversi reati commessi da giovanissimo si scopre una vocazione per i rapimenti: partecipa tra gli altri a quelli Rangoni Machiavelli, Bauer e Peruzzi, fino all’arresto del 1984 a Riccione. La condanna a 30 anni sembra l’inizio della fine, ma lui che è furbo e determinato si comporta da detenuto modello e riesce ad ottenere diversi permessi premio: da uno di questi, concessogli nel gennaio del 1997 a Badu ’e Carros per vedere moglie e figlie, «dimentica» di rientrare. È da quel momento che diventa praticamente un fantasma. Un fantasma che si materializza nei giorni del sequestro Soffiantini, di cui è implacabile carceriere («il più cattivo di tutti», secondo l’imprenditore bresciano) e che polizia e carabinieri cercano inutilmente ovunque: in Corsica, Spagna, Germania, Sud America e, naturalmente, in Sardegna, dove secondo alcuni avrebbe trascorso gran parte della sua latitanza, protetto da un network di fiancheggiatori. Negli anni si è fatta strada l’ipotesi che in realtà sia morto, ucciso da un complice per una storia di soldi: nel dubbio, la caccia resta aperta,

Giovanni Motisi, «u pacchiuni», «il grasso», 63 anni, palermitano doc, è ricercato dal ’98 per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage. Ha l’ergastolo da scontare, il killer di fiducia di Totò Riina, secondo un collaboratore di giustizia presente anche quando si parlò per la prima volta di ammazzare il generale Dalla Chiesa. Nel ’99, durante la perquisizione della sua villa di Palermo, spunta una fitta corrispondenza tra lui e la moglie Caterina, bigliettini recapitati da ‘postini’ fidati assieme a vestiti e regali. Ed è dello stesso anno l’ultima ‘apparizione’ certa in Sicilia di «u pacchiuni», alla festa di compleanno della figlia: nelle foto ritrovate diversi anni dopo risaltano le pareti coperte con lenzuola bianche per non far riconoscere il posto. Da allora, più niente o quasi tanto da alimentare il sospetto – ricorrente nelle grandi latitanze – che Motisi possa essere morto. Un’altra ipotesi è che abbia cercato, e trovato, riparo in Francia: l’esattore del racket Angelo Casano ha raccontato che nel 2002 Motisi ‘perse’ la reggenza di Pagliarelli a vantaggio di Nino Rotolo e che per un paio d’anni si nascose nell’Agrigentino, ‘terra’ di Giuseppe Falsone. Boss arrestato nel 2010 dalla Gendarmeria francese a Marsiglia.

Boss della camorra, classe 1949, anche di Renato Cinquegranella si sono praticamente perse le tracce dal 2002. Ricercato per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro, originariamente legato alla «Nuova Famiglia», storici rivali della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, di lui resta negli archivi una vecchia foto sgranata in bianco e nero, calvizie avanzata, occhiali, baffi neri e sguardo fisso nell’obiettivo. Un volto come tanti, eppure il suo nome compare nelle cronache giudiziarie di due dei delitti che più hanno scosso Napoli: l’omicidio di Giacomo Frattini, alius «Bambulella», soldato della Nco, torturato, ucciso e fatto a pezzi nel gennaio del 1982, e il massacro del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, ‘firmato’ nel luglio dello stesso anno dalle Brigate Rosse. L’episodio confermò l’esistenza di un ‘patto scellerato’ tra le Br e i capi-zona della camorra del centro di Napoli. Dal dicembre 2018 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, finora senza esito.

© Copyright redazione, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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