Incidente d’auto per Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino non è grave. Tornava da un giro nei territori nuovamente nelle mani del suo esercito. Ha la mano sul cuore, issa il blu e il giallo sulle rovine riconquistate d’Izyum. All’inizio s’abbandona a un po’ di retorica della controffensiva: «Prima, guardando in alto, cercavamo sempre il blu del cielo e il giallo del sole, ora cerchiamo solo la nostra bandiera». Quindi va in primissima linea, cosa che Putin non ha mai fatto in questi mesi, e visita gli orrori dell’Ucraina appena liberata. «Sempre le stesse violenze, le case distrutte, i civili uccisi…». A Balakliya c’è una camera delle torture. Gelida, spoglia di tutto. E sul muro solo graffiti disperati.
Le ultime preghiere, il pianto dei condannati a morte. Il disegno d’una croce, con le parole del Padre Nostro: «E non ci abbandonare», «ma liberaci dal male»… Echi di sofferenze inimmaginabili. Pallido, «Ze» sgrana gli occhi: «La visita qui è davvero scioccante. Ma non per me. Perché queste cose abbiamo iniziato a vederle da Bucha, dai territori liberati. Quel che hanno fatto a Izyum, purtroppo, fa parte della nostra storia e della storia della Russia moderna». Una certezza: «Sono sicuro che avremo i tribunali, i processi, i verdetti». Una promessa: «Un giorno torneremo anche in Crimea, sono passati otto anni. Non so quando, nessuno lo sa. Ma il mio messaggio è che torneremo anche lì».