ESCLUSIVA. CAMORRA MARANO, IL PENTITO SIMIOLI PARLA DELL’OMICIDIO NAZZARO: “FUI IO A COMMISSIONARLO A TROISE”

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Nel corso delle sue deposizioni, Giuseppe Simioli, per anni reggente del clan Polverino e da oltre un anno e mezzo collaboratore di giustizia, ha parlato con dovizia di particolari anche dell’omicidio di Luigi Felaco, avvenuto nel 2012 in un caseificio di Calvizzano. Il delitto fu commissionato proprio da Giuseppe Simioli, alias ‘o Petruocelo, e a sparare nell’esercizio commerciale – come rivelato proprio dal pentito – fu Gianluca Troise, tuttora detenuto e condannato per estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Per quell’omicidio, Troise rimediò anche una condanna all’ergastolo in primo grado ma fu poi assolto nei successivi gradi di giudizio. Le immagini dell’esecuzione, registrate dalle telecamere interne del caseificio, furono diffuse dalla Procura e spopolarono sul web. “Troise si affiliò con i Polverino nell’anno 2011 – ha dichiarato Simioli ai magistrati inquirenti della Dda – nel periodo in cui il clan fu colpito da numerosi arresti. Era un ragazzo sveglio, un ragazzo di strada che frequentava la mia zona, quella del Truglio. Era utile per la sua spregiudicatezza ad usare le armi. In quel periodo avevamo bisogno di gente operativa, che non si facesse troppi problemi ad andare a sparare. Anche perché c’era il rischio che il gruppo di Riccio (Mariano, capo della cellula scissionista maranese, ndr) potesse aggredirci”.

Omicidio Nazzaro.

Il pentito ha poi fatto riferimento all’esecuzione di Luigi Nazzaro, figlio del defunto Giuseppe: “Troise, originariamente, era addetto al traffico di hashish, ma scalò rapidamente le gerarchie della cosca fino ad eseguire, su mio mandato, l’omicidio di Luigi Felaco. Fu lui a darmi la notizia dell’avvenuta esecuzione nel periodo in cui ero latitante. Quando fu arrestato io ho pagato per la sua difesa, versando in varie rate una somma pari ad oltre 100 mila euro. Soldi che feci consegnare alla moglie. Come tutti i nostri affiliati, Troise riceveva un mensile, inizialmente di un importo di 2 mila euro, poi ridotti a 1500 euro. Ricordo di averlo incontrato più volte durante il periodo della mia latitanza, sia a Bacoli che a Santa Maria Capua Vetere. Come ho più volte riferito, soltanto i componenti del clan potevano presentarsi presso i rifugi dei latitanti”.

La figura di Bobby Solo.

Nel corso dei vari interrogatori, Simioli ha tratteggiato anche la figura e il ruolo di Giuseppe Di Maro, alias Bobby Solo, da qualche anno a piede libero dopo aver scontato una condanna: “Di Maro è mio cugino, è un affiliato di punta del clan Polverino. A partire dal 2010 ebbe un ruolo di primo piano nel clan. Nel 2011 lo nominai reggente della cosca, proprio nel periodo in cui mi diedi alla latitanza. In pratica fino al 2013, periodo in cui fu arrestato, era lui l’esponente apicale della cosca e come tale era responsabile delle estorsioni e del traffico di droga. Di Maro gestiva la mia contabilità, sempre nel periodo della mia latitanza, e custodiva l’hashish di mia proprietà. In un’occasione scoprii che mi aveva provocato un ammanco di 800-900 mila euro. Me ne accorsi nelle settimane successive al suo arresto. Con quei soldi coprì le puntate per un traffico di hashish non realizzato. Di Maro si era fatto rubare i soldi dell’investimento in Spagna e scaricò la responsabilità su un’altra persona. Quest’ultima venne da me a lamentarsi di Di Maro e io intimai a mio cugino di pagare chi aveva investito nella puntata. Dopo il suo arresto, ripeto, mi accorsi che lo aveva fatto con i miei soldi”.

© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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