Il processo Pip è entrata nella fase calda con i testimoni delle difese. Ascoltati il cugino della compagna di Bertini, il geometra dei Cesaro e i consulenti di Di Guida

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Il processo Pip è entrato ormai nella sua fase più calda. Le difese sono passate da qualche tempo al contrattacco con la convocazione, in qualità di testi, di persone che hanno avuti ruoli non secondari nella vicenda. L’altra mattina sono stati escussi i consulenti finanziari di Antonio Di Guida, imprenditore maranese ed ex assessore provinciale di Forza Italia, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa con il clan Polverino. Di Guida, a capo o socio di numerose società edili, è indicato da alcuni pentiti come uno degli imprenditori di riferimento della fazione criminale un tempo egemone a Marano e nei comuni limitrofi. I consulenti tecnici, sulla base delle verifiche della documentazione contabile, hanno escluso che sui conti delle aziende di Guida (Edil sud, Ginevra, Vasad) siano transitati soldi in contanti provenienti da soggetti terzi. Per la pubblica accusa gli affari dell’ex esponente forzista, molto vicino ai Cesaro, sarebbero invece stati concordati o finanziati dai vertici del clan Polverino.

Il riferimento non è alla vicenda Pip, nella quale Di Guida avrebbe avuto un ruolo più marginale, ma alla realizzazione di diversi complessi residenziali, ubicati tra i Colli Aminei, San Giovanni a Teduccio, Lago Patria e Villaricca.

Sul banco dei testimoni è salito anche il geometra Giovanni Parisi, ex dipendente dei Cesaro, in pratica il coordinatore dei lavori sull’area industriale di Marano dal 2008 al 2014. Parisi, incalzato dalle domande dell’avvocato Vincenzo Maiello e dal presidente del collegio giudicante Francesco Chiaromonte, ha riferito di essere a conoscenza di numerosi furti perpetrati sulla strada di accesso al Pip e all’interno dei capannoni e di essere stato, in un’occasione, avvicinato da un uomo “arrivato all’interno dell’area Pip con un’auto dai vetri oscurati. L’uomo – ha spiegato Parisi – mi disse di andarmene e di riferire ai Cesaro di recarsi dove sapevano per mettersi a posto”.

L’ex dipendente della società dei Cesaro si è soffermato poi su un altro inquietante episodio: l’ingresso di un uomo armato nel gabbiotto posto all’interno del Pip, dove abitualmente trascorreva parte del tempo durante gli orari di lavoro al cantiere.

I legali degli imprenditori di Sant’Antimo, a capo della società che si aggiudicò l’appalto, puntano a dimostrare che i loro assistiti furono vittime della camorra e non partecipi al disegno criminoso ipotizzato dai magistrati della Dda.

Ad essere ascoltato, sempre nella giornata di ieri, anche Pasquale Granata, cognato di Raffaele Cesaro, legato da vincoli di parentela con la compagna dell’ex sindaco di Marano Mauro Bertini, da qualche settimana ai domiciliari nell’ambito del medesimo filone investigativo. Granata ha riferito di essersi recato, una decina di anni fa, presso l’attuale abitazione dell’ex sindaco in compagnia dei fratelli Cesaro e di “aver saputo da Raffaele che era in atto una campagna politica contro l’operazione Pip portata avanti proprio da Bertini. In auto, al ritorno, Raffaele mi disse che Bertini gli aveva chiesto di aiutarlo per un mutuo o un prestito e che lo stesso Raffaele gli aveva riferito che avrebbe messo a disposizione di Bertini un tecnico di loro fiducia”.

Non escusso invece il noto contrabbandiere Rocco Cafiero, indagato in un procedimento connesso. L’uomo si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande dei legali e del collegio giudicante.

 

© Copyright Fernando Bocchetti, Riproduzione Riservata. Scritto per: TerranostraNews
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