Gentile dottore, alla mia età relativamente giovane, ho 27 anni, devo ammettere di essere in una condizione di profondo avvilimento. Mia madre, rimasta vedova circa 10 anni fa, forse per il trauma o forse per la profonda solitudine che già provava interiormente e per l’incapacità di gestione dei soldi, purtroppo ha sviluppato una forte dipendenza dal gioco. Una dipendenza che ci ha portato addirittura sul lastrico, poiché per i suoi debiti abbiamo dovuto vendere la nostra casa. La situazione mi preoccupa molto, poiché il mio lavoro precario, anche se sono laureato, non può certamente far fronte al problema. Ho più volte provato a parlare con mia madre e a convincerla di smettere, ma lei nega l’evidenza dei fatti. Non so più cosa fare e sono disperato, anche perché saremo costretti a vendere anche le ultime cose rimaste. Mi aiuti, la prego!
Paolo (Arzano)
La dipendenza accompagna l’individuo nello sviluppo della sua identità, passando attraverso fasi di identificazione con le persone a lui più vicine. Nei primi periodi di vita si è totalmente fusi con la mamma, al punto tale da essere considerati, dagli studiosi interessati al fenomeno, come un’unica entità. Il bambino è totalmente dipendente dall’amore materno: una deprivazione di questo affetto può essere determinante ai fini dello sviluppo di psicopatologie rilevanti. Si dipende dall’altro, dal suo desiderio, dalle emozioni vissute nell’attesa di questa nuova vita, che viene idealizzata nelle sue forme, già prima della nascita. Per questo motivo si dice che si è nel “campo dell’altro”, ancora prima di venire alla luce, intendendo per altro tutto il preesistente. Una dipendenza strutturale, integrata da fasi di separazione, che accompagnano il soggetto nel suo percorso esistenziale. Determinante in questa fase è il padre, che concorre al taglio simbolico con la figura materna, per andare oltre la simbiosi, che limiterebbe il bambino nella sua autonomia. E’ da questa mancanza che si parte per iniziare a desiderare quello che va a colmare questa faglia, facendo conoscere al soggetto le prime forme di dipendenza, non caratterizzate in maniera patologica. La dipendenza patologica si caratterizza per la ricerca compulsiva di godimento, che non ha mai fine, perchè quella faglia resterà sempre vuota. Per questo il dipendente patologico ripete sempre gli stessi schemi, in maniera ossessiva.
E’ possibile riempire questa faglia? Un vuoto è generato sempre da una perdita e come tale non può che provocare dolore, stravolgendo l’ordinario, senza portare risposte alle domande che pone. Il dolore va elaborato, non rimosso, non anestetizzato, e solo così può diventare una possibilità, una chance da cogliere attraverso una domanda d’aiuto, che nelle sue formulazioni può aprire a nuove possibilità. Oltre l’ effetto illusorio e temporaneo che solo la sostanza (alcool, gioco d’azzardo, droga, cibo…), in forma ripetitiva e angosciante, sa dare. La sostanza si sposa al momento, come effetto lenitivo di un vuoto che risucchia all’interno di sè come un vortice, dal quale si può risalire solo attraverso il desiderio, perchè solo esso è proiettato all’avvenire, al “non ancora visto”, al “non ancora avvenuto”, oltre la ripetitività e gli aspetti alienanti legati a scene che si ripetono nella loro angosciante infinitezza.
Dottor Raffaele Virgilio, psicologo e psicoterapeuta
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